Cosa c'entrano i cattolici con la politica? Come devono regolarsi quando si infilano nell'urna elettorale? Fanno bene a non interessarsi? Sono domande che in tanti si fanno specie alla vigilia di una campagna elettorale. A Lecce e in alcuni comuni della diocesi (Campi Salentina, Lequile e Novoli) si voterà il prossimo 26 maggio per l'elezione dei sindaci. Nella stessa giornata ogni comunità si esprimerà per il parlamento europeo.
I prossimi, dunque, saranno mesi di tensione ma – ci si augura – anche di riflessione e di discernimento. E al cattolico, chiamato ad essere “luce del mondo e sale della terra” - forse più che a ogni altro – spetta il compito di incarnare i valori che la dottrina sociale della Chiesa insegna.
Portalecce - ogni tanto presa di mira (e in campagna elettorale anche una virgola sarà sottoposta a risonanza magnetica) perché “osa” occuparsi della vita delle città e non solo di ciò che accade nelle sacrestie della diocesi - nei prossimi mesi pur rimanendo fuori dalle schermaglie, antipatiche ma inevitabili purtroppo, proverà ad entrare nel dibattito politico non per sposare questa o quella causa (come qualcuno si ostina ad insinuare), ma per offrire ai cattolici leccesi una piattaforma di criteri (e non di consigli per gli acquisti!) sulla quale poter costruire strada facendo, qualche idea coerente, un tentativo di confronto, una forma di partecipazione, una scelta consapevole.
Per cominciare la costruzione abbiamo sentito il parere di un sacerdote pugliese, don Rocco D'Ambrosio, professore ordinario di filosofia politica presso l'Università Gregoriana e docente di etica della pubblica amministrazione presso il Ministero dell’Interno. Ha pubblicato diversi saggi sui temi politici, l'ultimo con Francesco Giannella, La corruzione: attori e trame (2018). Giornalista pubblicista, dirige il periodico di cultura e politica “Cercasi un fine” e il suo relativo sito web (www.cercasiunfine.it). Coordina e dirige alcune scuole di formazione all’impegno sociale e politico fin dal 2002.
Professore D'Ambrosio, si discute tanto della presenza o (meglio) dell'assenza dei credenti nella vita politica!
Si discute e si fa bene a discuterne! È una vecchia storia che riguarda l’interpretazione del Concilio Vaticano II: siamo passati dalle liste della Democrazia cristiana poste all’approvazione del parroco - l’ultimo a vederle e a dare il suo ok -, ad un’allergia molto diffusa nelle nostre parrocchie (io giro molto per l’Italia, quindi è un dato molto diffuso), ai temi politici e sociali. Questo è il punto di partenza.
E poi?
Qualche cosa in questi cinquant’anni è stato fatto. Ci sono però ancora alcuni colpi di coda!
Cioè? Qual è il più grande colpo di coda?
Qualcuno pensa ancora che, per risolvere il problema, dobbiamo rifondare la Democrazia cristiana. La Democrazia cristiana, nel bene e nel male, è storia chiusa. È un’esperienza che è finita. Oggi, come dice il Papa, dovremmo educare i cattolici ad impegnarsi in politica e ad essere coerenti con la fede cristiana. Quindi, è bene discutere purché riprendiamo ad educare cattolici coerenti con la propria fede e, con la stessa coerenza, impegnati in politica.
Le elezioni del 4 marzo scorso hanno segnato l'ennesimo spartiacque, una profonda frattura con i vent’anni precedenti. Diverse le analisi, diverse le posizioni. Professore, cosa pensa dell’attuale governo?
Sono sinceramente molto preoccupato. Parliamo prima dei meriti. Credo che il Movimento 5 Stelle abbia un grande merito: aver portato al voto persone che non si recavano da tempo alle urne. Un bel po’ di delusi, sia di destra che di sinistra; ma anche gente che ha voluto scommettere sul cambiamento. Il cambiamento non c’è. E se c'è, è minimo rispetto alle premesse. Certamente inferiore rispetto alle promesse fatte. Ovviamente ciò non mi sorprende: è sempre così la politica. E poi c’è la Lega che è più partito dei 5Stelle, è più un trattore che sa camminare, sa arare bene. Ciò che semina, però, personalmente non posso condividerlo.
Cosa non condivide?
La sua cultura razzista in molti casi, la sua cultura di governo un po’ superba. Lasciano intendere di avere sempre la soluzione per tutto e per tutti. Quando alludo alla superbia, in questo caso, faccio riferimento al rifiuto di riconoscere che quelli che c'erano prima e prima ancora abbiano fatto qualcosa di buono e che magari si possa prendere in considerazione per migliorarlo. Non è eticamente corretto buttare a mare una cosa semplicemente perché decisa da altri. È un comportamento questo molto superbo, lo ripeto. Inoltre è evidente in entrambe le compagini parecchia arroganza.
In che senso?
Nel senso che spesso non c’è rispetto. Il nostro Paese, come tutti i Paesi del mondo è fatto di regole, di rispetto della Costituzione, di norme, di una prassi. Certe volte resto allibito, e, di conseguenza, divento molto critico.
Miglioreranno?
Me lo auguro! Mi sembra, però, quello che tiene in piedi l'attuale governo, un matrimonio che sta in piedi per arrivare, come dire, al fidanzamento dei figli, che sarebbero le Europee. Poi quando i figli si fidanzeranno non so cosa succederà, può darsi pure che il matrimonio salti, non lo so, però non mi sembra proprio un gran bel matrimonio.
Torniamo un attimo indietro, alla domanda sull’impegno dei cattolici in politica. C’è stata una tendenza negli ultimi vent’anni circa, in cui la Chiesa, intesa come gerarchia, ha in qualche modo invitato anche le persone migliori a tenersi lontane dalla politica? Queste ne sono le conseguenze?
Allora, la risposta è certamente sì. Come dicevo prima, siamo passati dal collateralismo ad una forma di allergia. L’editore statunitense del libro che ho scritto sul Papa, mi ha illuminato, dicendomi: “guardi, professore, qui abbiamo giovani ed anche adulti di 30/40 anni che negli ultimi vent’anni, negli Stati Uniti (ma la situazione è identica qui in Italia), hanno ascoltato omelie del tipo: sei un buon cattolico se sei contro l’eutanasia, contro l’aborto, contro la fecondazione in vitro, se sei sospetto riguardo all’omosessualità e difendi la famiglia e l’educazione cattolica. Punto”. Criteri che si trovano certamente nella Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della fede circa alcune questioni riguardanti l'impegno e i comportamento dei cattolici nella vita politica del 2002 quando il Prefetto era il card. Ratzinger. Il problema è che dopo questi cinque punti ce ne sono altri cinque spesso e volentieri ignorati!
E quali sono gli altri?
L’impegno contro la tratta delle persone, l’accoglienza degli immigrati, un’economia giusta, la solidarietà, la lotta per la corruzione e l’ impegno per la pace e poi, oggi, il Papa ha aggiunto la salvaguardia del creato. Allora, noi abbiamo avuto e abbiamo ancora (e questo è il problema del rapporto tra Chiesa italiana e Pontificato) una parte di vescovi, preti, diaconi, laici che continuano a dire che la fedeltà cattolica si gioca solo su alcuni principi, dimenticando gli altri.
E allora cosa si può fare?
Non dico che dobbiamo fare l’opposto! Ma dobbiamo cominciare a sostenere che i criteri su cui fare discernimento - come spiega la Nota e come indica tutto il Magistero - sono tutti e dieci. E vanno dalla tutela del nascituro sino alla persona in fin di vita, passando per l’impegno contro la guerra, contro la corruzione, la solidarietà, l’attenzione verso le tante povertà e l’immigrazione. Questa è la fede cattolica. Però, ha anche ragione il mio editore, quando dice che bisogna avere ancora molta pazienza. Ci sono credenti, infatti, che hanno ascoltato solo un tipo di omelie, tanto da pensare che tutto il resto non appartenga alla fede cattolica e non solo, tanto da dire che il Papa è un ‘fissato’: è una cosa solo ridicola a dirla se, non addirittura, a pensarla. È nel Vangelo ciò che insegna il Papa!
Poi c’è un altro aspetto. Da un lato questo tipo di omelie. Dall’altro il distacco tra le comunità parrocchiali e il territorio, i giovani e le famiglie. I tempi in cui i cattolici erano attivi in politica erano anche i tempi in cui le parrocchie pullulavano di giovani, che frequentavano, per così dire, la ‘scuola dei parroci’, luogo di educazione sociale.
E aggiungo lì dove, una volta, i parroci proponevano ai giovani presenti, formati e preparati, non soltanto l’impegno nell’oratorio e nel catechismo, ma anche l’impegno nel sindacato, in una sezione di partito, nel volontariato per alcune emergenze. Quindi era lo stesso prete a suscitare le vocazioni sociali e politiche. Oggi, invece, da questo punto di vista, le parrocchie sono ripiegate su se stesse. L’unico servizio dei laici si svolge all’interno delle parrocchie - e non dico che non vada fatto -, purtroppo, però, rimane l’unico servizio svolto dai laici, quando invece il Concilio Vaticano II, nell'Apostolicam Actuositatem, afferma che il primo impegno dei laici non è nella comunità cristiana, ma è nel mondo e poi anche nella comunità cristiana.
Il cardinale Bassetti sta insistendo sull’impegno dei cattolici in politica, superando i partiti e invitandoli a “sposare” il civismo. È la strada giusta, è una visione corretta, è una mancanza di fiducia nei confronti dei partiti di oggi. Lei cosa ne pensa professore?
È una strada a metà. È un grande valore per le realtà locali, che pullulano infatti di liste civiche. Va detto, però, che anche le stesse realtà locali quando hanno un confronto istituzionale, per gli stessi finanziamenti o richiesta di fondi alla Regione per esempio, volenti o nolenti, devono appartenere a qualche carrozza, devono salire su qualche treno, aderire a qualche partito. Allora quello che propone il cardinale Bassetti, secondo me, ha valore per far iniziare il cammino di avvicinamento, perché, difatti, è molto difficile chiedere, oggi, ad un giovane o ad un adulto, di far parte di un partito; è più facile, invece, chiedere l’impegno per un progetto civico. Dopo, però, e me lo dice la Costituzione, i partiti sono organismi intermedi che servono per determinare la politica nazionale.
Si spieghi meglio, professore?
Il discorso è lungo e non è semplice da sintetizzare. Comunque, si può dire che in Italia abbiamo avuto, dopo la fine dei grandi partiti, due esperimenti di grandi partiti-non partiti. E sono, Forza Italia, che è un movimento politico e il Movimento 5 Stelle. La Lega, come già detto, è molto, più partito, rispetto a queste realtà. Dobbiamo riconoscere che ambedue hanno un grandissimo deficit di democrazia interna: il leader comanda tutto, decide i sottocapi, decide tutto. E allora in questo modo non si può fare esperienza di partecipazione politica: si è continuamente bloccati. Giustamente ne consegue uno spostamento verso la lista civica, che permette una maggiore discussione e partecipazione, senza ordini dall’alto. La gente deve partecipare veramente, deve esprimersi liberamente. Però abbiamo bisogno dei partiti e abbiamo bisogno di rinnovarli, questo sì.
A breve andremo a votare. Un cattolico chi dovrebbe scegliere? La destra, la sinistra, nessuno? Chi? Un cattolico cosa dovrebbe valutare prima di votare, i programmi o le persone?
Rispondo avendo come riferimento la dottrina e ciò che io faccio. Io voto le persone. Ovviamente sono fortemente bloccato quando votiamo per le politiche, perché, purtroppo, votiamo i simboli. Però, ricordiamoci che per le europee voteremo le persone! Quindi, io voterò la persona, che come dice la morale cattolica, deve avere una maturità personale ed etica e deve avere un minimo di competenza. C’è un valore aggiunto per me: se ci sono due persone che hanno la stessa maturità e competenza e uno di loro è un credente, bene, io voto il credente, perché su alcune cose ci capiamo prima. Ma da anni io voto le persone.
Le scuole di formazione politica sembrerebbero ripartire su tutto il territorio nazionale. È la strada giusta?
Sì, è la strada giusta, non è la strada che risolve tutti i problemi, ma è la possibilità di offrire alle nostre comunità piccoli percorsi di formazione. Con l’associazione con cui io lavoro inizieremo, a settembre prossimo, con l’Università di Bari, finalmente una cosa che sognavo da tanto tempo, un master per i politici, quindi di formazione non solo alla politica, ma anche per chi ha già degli incarichi istituzionali.
Il 18 gennaio del 1919 don Luigi Sturzo fece un appello ‘ai liberi e forti’. Quest’appello oggi a chi va fatto, cioè chi sono ‘i liberi e forti’ di oggi?
L’altro giorno, presentando un libro sulla Siria, è stata fatta una battuta: ‘bah, libero e forte, in uno sguardo universale, resta il Papa e qualche altro’. Perché? Perché l’appello di Sturzo ai “liberi e forti” veniva fuori, attenzione, non dall’intento di aggregare tutti i cattolici! Sturzo ha sempre detto che deve esistere una componente cattolica di destra e una componente cattolica di sinistra. L’appello ai “liberi e forti” veniva fuori dalla libertà guadagnata sul campo e poi si era anche alla vigilia del fascismo, quindi già si sentiva il tanfo dello squadrismo. Quindi le persone libere erano quelle libere da qualsiasi forma di dominio o di assoggettamento al ‘capuzziello’ o al dittatore di turno. E forti! C’è una bellissima espressione di Sturzo che userà nel convegno di Torino, quando già il fascismo però era insediato e alla vigilia della legge che avrebbe chiuso tutti i partiti tranne quello fascista. Sturzo iniziò dicendo così: “Sotto la neve il pane”. Tutti lo guardarono, chiedendosi cosa volesse dire?
Cosa intendeva dire don Luigi Sturzo, professore?
Lui amava molto la cultura contadina. ‘Sotto la neve il pane’ voleva dire che quel tempo rappresentava l’inverno della democrazia. Ma sotto la neve c'era il pane secondo il suo pensiero. Il pane delle persone libere e forti che non scendono a compromessi e che sanno, non solo incarnare i valori, ma anche farsi testimoni e diffusori degli stessi contenuti. Quel seme germoglierà e darà frutti buoni. E la storia gli ha dato ragione. Quel seme ha portato alla Repubblica. “Sotto la neve il pane”.
Una conclusione per l’intervista, professore?
“Sotto la neve il pane!”.