La guerra scatenata da Putin, che da oltre due anni imperversa sull’Ucraina e sulla sua popolazione civile, ha cambiato ancora una volta l’agenda dell’Unione europea.
Del resto, la storia insegna che il processo di integrazione comunitaria è sempre stato profondamente segnato dalla “cronaca”, da eventi che di volta in volta hanno richiesto risposte nuove a problemi emergenti. Solo per restare agli ultimi anni, si pensi alla crisi finanziaria del 2008, a quella migratoria del 2015-16, poi al Covid (2020), quindi al conflitto in Ucraina (2022). Interventi talvolta arrivati per tempo, in altri casi tardivi o persino mancati (il caso delle migrazioni è emblematico).
Così accade che da mesi nelle sedi europee, come nelle cancellerie degli Stati membri, la risposta sul piano umanitario, economico, politico e militare all’aggressione russa abbia (comprensibilmente) scavalcato ogni altra priorità fra i Ventisette. La conferma si è avuta dal Consiglio europeo del 21 e 22 marzo, durante il quale i capi di Stato e di governo dell’Unione hanno ribadito la “svolta bellica” che nei giorni precedenti era già stata fatta propria da Parlamento e Commissione Ue.
Nel documento finale del summit, i leader hanno affermato: “Nell’esercitare il suo diritto naturale di autotutela, l’Ucraina necessita con urgenza di sistemi di difesa aerea, munizioni e missili. In questo momento critico, l’Unione europea e gli Stati membri accelereranno e intensificheranno la fornitura di tutta l’assistenza militare necessaria”. Per poi specificare: “L’Unione europea è determinata ad aumentare la sua preparazione alla difesa” affinché “sia all’altezza delle esigenze e ambizioni nel contesto delle crescenti minacce e sfide per la sicurezza. […] La base industriale e tecnologica di difesa europea dovrebbe essere rafforzata di conseguenza in tutta l’Unione”.
La produzione di armamenti e il sostegno all’industria bellica passano in primo piano. L’Europa della pace disegnata e realizzata dai “padri fondatori”, compie un’inversione – forse imposta dalla storia – di 180 gradi.
Una decisione, quella presa dall’Unione, sulla quale si potrebbe discutere a lungo e sulla quale è lecito sollevare obiezioni. Ma al di là delle scelte, resta il fatto che altre “priorità”, fino a poco tempo fa ritenute irrinunciabili, indilazionabili, improrogabili, ora passano semplicemente in secondo piano. Priorità riguardanti temi, è bene ricordarlo, di assoluto rilievo, fra cui: l’invecchiamento e la sfida demografica; le pressioni migratorie e l’accoglienza dei migranti; la tutela dei diritti e la promozione del welfare; la competitività economica, l’innovazione produttiva; l’inflazione e i consumi; la politica energetica e i cambiamenti climatici; i rapporti con il resto del mondo e le innumerevoli altre guerre che attraversano i continenti.
Il conflitto in Ucraina è percepito da tutti come una seria minaccia alla sicurezza dei cittadini. Sicurezza che è compito dei governi assicurare all’Europa intera. Ma si è certi che la produzione di armi sia l’unica via per farvi fronte? E quale spazio sarà dato, nelle sedi nazionali ed europea, per affrontare tutte le altre “emergenze” che continuano a gravare sulle persone, le famiglie, le realtà territoriali, le imprese della nostra Unione europea?
La politica richiede strategie e risposte per il presente, ma anche visioni e progetti per il futuro, cui la politica stessa non può abdicare.