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L’avanzata straordinaria della Lega, ormai acclarata non solo dai sondaggi ma anche da concreti appuntamenti elettorali come quello recente del Trentino Alto Adige, e la fermezza militare (se ne facciano una ragione!) con la quale viene sostenuta la Legge di bilancio di fronte alla altrettanto apodittica bocciatura che ne ha fatto la Commissione europea sono due facce della stessa medaglia.

Occorre prendere atto che si stanno delineando due scenari di straordinaria novità, l’uno causa dell’altro. Il primo, in una fase ormai di inarrestabile consolidamento, consiste nella fine del centro destra così come lo abbiamo conosciuto e sperimentato dalla fine della cosiddetta prima Repubblica e l’avvento della destra tout court. Il secondo scenario, in una fase fortunatamente iniziale e perciò ancora reversibile, essendo poste semplicemente le premesse, consiste nella possibile uscita dell’Italia dalla solidarietà europea (la cosiddetta italexit) non per una scelta deliberata, ma come dato di fatto conseguente al mancato rispetto delle regole europee in materia di vincoli di bilancio.

Proviamo ad indagare le due strade che sembrano correre parallele, ma che alla fine potrebbero condurre al medesimo epilogo.

  1. Le recenti elezioni in Trentino Alto Adige che hanno visto la Lega affermarsi come primo partito in tutto il Trentino e primo partito a Bolzano, certificano il veloce svuotamento di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, ridotti insieme a poco più del 3%.

Il M5S, secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo, perde molti voti ma non a vantaggio del Pd. Il grosso del popolo grillino si astiene e una fetta consistente vota Lega, questo conferma la contiguità politica dei due elettorati.

Perché Salvini vince? Intanto vince non solo in territori forti economicamente e con una consolidata tradizione moderata come in Alto Adige o di centrosinistra come in Trentino, ma anche in territori economicamente deboli come il Mezzogiorno, dove sembra ormai proiettato a rappresentare l’unico vero competitore dei pentastellati. Se ne ha un evidente dimostrazione attraverso i numerosi tentativi di riposizionamento politico degli “uomini forti” di quello che fu il partito di Berlusconi, ridotti a questuanti alla corte del nuovo sovrano. Cosa c’è dietro questo tsunami? La paura dell’immigrato? Della sua religione? Della sua pretesa di insidiare il nostro benessere e la nostra tranquillità? Il rancore nei confronti della casta? L’insopportabile peso delle tasse? L’ostilità per le rigide regole dell’Unione europea? La voglia e l’orgoglio di una ritrovata identità nazionale, esaltata anche dal richiamo, del tutto strumentale, a simboli religiosi? C’è tutto questo dietro l’avanzata della Lega. Ma c’è anche di più. C’è soprattutto la “credibilità” di Salvini.

Salvini è credibile non perché si riconoscano in lui le doti di uno statista, di un leader capace di esercitare l’intelligenza degli avvenimenti, di un leader che si fa guidare almeno dal buon senso, ma perché ha un linguaggio diretto e semplice. È credibile perché sposa in pieno il senso comune.

 

È credibile perché come uno specchio riflette gli umori, gli istinti, le paure, le arrabbiature, di larghe fette di popolazione, con in più la capacità di anticipare questi sentimenti e giocarli sul mercato dei consensi. Di fronte a questa intelligenza strumentale, le parole pronunciate dagli altri attori politici suonano come campane stonate.

Da questo punto di vista Il personaggio di cui ci stiamo occupando traccia una distanza siderale dalle grandi leadership che pure ci sono state nella politica italiana: rese grandi proprio perché dotate di una intelligenza progettuale, capace di guardare lontano, di indicare orizzonti di futuro, di ignorare gli interessi di bottega per valorizzare gli interessi di tutti che ancora ci ostiniamo a chiamiamo bene comune. Insomma, paradossalmente, potremmo trovarci di nuovo di fronte proprio a quell’uomo forte, solo al comando, la paura del quale ha portato moltissimi elettori a votare no al referendum sulle riforme costituzionali del 4 dicembre 2016.

  1. Passiamo al secondo scenario che si sta stagliando davanti a noi e la cui finale affermazione potrebbe attestare la definitiva vittoria della politica sovranista. La Legge di bilancio che sta per essere approvata dal Parlamento si fonda su un principio tanto semplice quanto estremamente temerario e pericoloso per i destini del risparmio delle famiglie, della produttività delle imprese, della sostenibilità dell’enorme debito che come un macigno su un piano inclinato è pronto a rotolare giù su tutti noi.

Il principio è questo: le promesse elettorali hanno da essere onorate e per farlo la strada che si sceglie è quella di indebitarsi ulteriormente. Fin qui nulla di nuovo se non fosse che il maggior debito serve ad aumentare la spesa corrente anzicché favorire la crescita attraverso un massiccio programma di investimenti. Viene giustamente osservato che il lavoro non si crea per decreto; è la crescita dell’economia, delle imprese, infatti, a produrlo. Ma, si obbietta, la grande liquidità messa in circolo con il reddito di cittadinanza, i pensionamenti facilitati, le agevolazioni fiscali alle partite iva, produrrà maggiori consumi e quindi maggiore produttività, aumentando il famigerato pil. E con l’aumento del pil anche maggiori entrate nelle casse dello Stato.

L’obiezione è debole per due ragioni: innanzitutto, nelle più rosee previsioni, gli effetti delle misure non si produrranno prima della metà dell’anno prossimo (ma ci crediamo veramente che i nuovi centri per l’impiego, dotati delle nuove competenze in tempi estremamente ridotti, saranno così bravi da sostenere una fortissima domanda di lavoro in aree povere di imprese?); in secondo luogo, ad una maggiore capacità di spesa non corrispondono automaticamente maggiori consumi. Lo si è potuto osservare con gli 80 euro del governo Renzi. Indebitarsi ulteriormente per accrescere la spesa improduttiva significa esporre il Paese al rischio molto concreto che i mercati non finanzino più il nostro fabbisogno di denaro. In tal caso, dove e come saranno reperite le risorse per pagare stipendi e pensioni?

L’aumento dello spread, che ricordiamocelo è il termometro attraverso il quale i mercati finanziari misurano la nostra affidabilità a restituire i prestiti, conduce ad aumentare la spesa per interessi e a distoglierla da altre voci di bilancio; produce effetti negativi sul sistema creditizio (riducendo la disponibilità di denaro delle banche con la conseguenza di una riduzione dei mutui e di maggiori interessi quando questi vengono erogati); produce effetti negativi sui risparmi, sottraendo valore ai capitali. Lo spread aumenta non per le misteriose volontà di un altrettanto misterioso mercato ma per la semplice ragione che coloro che ci prestano il denaro cominciano a diffidare delle nostre concrete capacità di onorare i debiti.

Una Legge di bilancio che coscientemente si discosta non solo dalle regole europee che abbiamo concorso a definire quando abbiamo aderito alla moneta unica, ma anche dalle regole fondamentali della diligenza del buon padre di famiglia, è espressione di una politica che in forza di una delega in bianco ricevuta da una parte del popolo, fa del conflitto con le Istituzioni nazionali ed europee la sua cifra identitaria. Tutte le Istituzioni, dal Presidente della Repubblica alla Commissione Europea, che nell’esercizio delle loro legittime prerogative rappresentano un argine alle derive populiste e ci aiutano a non precipitare nel baratro, sono additate come nemici da combattere. Se l’obiettivo non dichiarato è quello non di uscire dall’Unione Europea ma di esserne spinti fuori, la strategia del nemico da abbattere è decisamente quella più funzionale allo scopo.

La convergenza di questi due scenari porta a rinnegare settant'anni di scelte repubblicane. Pensiamoci.

 

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