Dalle cronache di questi giorni, la realizzazione del gasdotto Tap a Melendugno sembra rappresentare uno degli scogli su cui potrebbe sbattere il governo gialloverde. Il tema delle infrastrutture (tap, tav, terzo valico, etc.) si sta rivelando il vero tallone d’Achille della attuale maggioranza politica.
Non è sulla politica fiscale, che rischia di condurci al commissariamento per violazione delle regole europee, ma sulle opere da realizzare o non realizzare che si manifestano e si scontrano i reali interessi delle due forze politiche che ci governano. Da una parte, l’interesse della Lega ad assecondare, in continuità con le decisioni dei governi precedenti, i piani infrastrutturali considerati strategici in tema di mobilità e di approvvigionamento energetico; dall’altra, l’interesse “verde” del M5S interpretato come opposizione a qualunque intervento invasivo dell’ambiente fisico.
Non v’è dubbio che in queste circostanze la Lega sembra dimostrare una cultura di governo decisamente maggiore di quella pentastellata. Se non altro per un maggior senso di responsabilità di fronte agli impegni internazionali assunti e per una maggiore consapevolezza delle conseguenze che deriverebbero da un eventuale recesso da tali impegni.
Del Tap, delle sue opportunità e dei suoi rischi, si è scritto e detto in quantità nel corso degli ultimi anni. Ciascuno di noi si è potuto, così, fare una opinione. È legittima l’opinione contro il gasdotto. È altrettanto legittima quella a favore. Entrambe, se costruite fuori da un approccio ideologico, dovrebbero essere espressione di una attenta ponderazione dei valori in gioco. La stessa ponderazione che è stata esercitata in ordine all’altra questione che ci riguarda molto da vicino: la produzione dell’acciaio nello stabilimento siderurgico di Taranto. A Melendugno, come a Taranto, i valori in gioco sono la salute e lo sviluppo. Due valori di pari dignità, con la conseguenza che nessuno dei due può prevalere sull’altro. La decisione di dare continuità all’attività industriale, scaturita da un lungo e sofferto confronto tra le parti in causa, è stata costruita, infatti, su un delicato equilibrio tra l’istanza della tutela della salute e quella di avere concrete opportunità di sviluppo. Dal grado particolarmente elevato dello scontro in atto, sembra che a Melendugno questo metodo sia di difficile sperimentazione.
Cerchiamo di ricostruire i nodi fondamentali del dibattito e del progetto.
C’è innanzitutto una questione geopolitica, spesso sottovalutata. Come riportato da uno studio apparso recentemente sul sito de La Voce.info, “ad una produzione interna di gas naturale in declino fanno da contraltare importazioni che continuano a crescere e fra queste quelle russe rivestono particolare importanza con oltre il 40%”. Ciò vuol dire che oggi come Paese siamo russiadipendenti. In mancanza di infrastrutture fisiche alternative, la Russia impone il suo prezzo in regime di quasi oligopolio. La questione geopolitica si declina, pertanto, come necessità di sottarsi all’eccessivo condizionamento russo sia dal punto di vista “politico” che da quello economico.
C’è poi una questione di sicurezza e ambiente. Le commissioni ministeriali hanno dato le autorizzazioni alla realizzazione del Tap dopo avere studiato nel dettaglio il progetto. Ci si domanda, forse ingenuamente, che valore tecnico hanno queste autorizzazioni? Sino a che punto possono essere smentite se perfino l’attuale governo ne attesta invece la correttezza? Secondo il centro studi Nomisma “il Tap sarebbe sicuro, come testimoniato dagli altri quattro punti di importazione nel sistema gas Italia: Passo Gries nell’alto Piemonte, Tarvisio in Friuli, Gela e Mazara del Vallo in Sicilia. Da qui sono transitati negli ultimi 55 anni oltre 1800 miliardi di metri cubi, senza incidenti”. Se ciò è vero, perché le legittime preoccupazioni espresse da chi si oppone non ricevono risposte convincenti? È sufficiente assicurare al territorio coinvolto l’impegno per un monitoraggio costante e trasparente?
C’è, inoltre, una questione di sviluppo economico. La costruzione del gasdotto rappresenta un investimento che può alimentare l’economia locale della provincia di Lecce, senza snaturarne la tradizionale vocazione turistica e agricola? Le risposte date a questa domanda, in verità, ci sembrano piuttosto vaghe. In uno studio dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia del 2014, infatti, si legge: “ La costruzione del tratto finale on-shore del gasdotto, delle infrastrutture di ricezione e del collegamento alla rete nazionale di Snam implicano investimenti per alcune centinaia di milioni di euro con la creazione di un discreto numero di posti di lavoro, soprattutto durante la fase di realizzazione. È previsto inoltre che il terminale del gasdotto impieghi alcune decine di persone anche una volta a regime, offrendo perciò opportunità permanenti di lavoro. ”La questione dello sviluppo economico dell’area può risolversi con qualche decina di posti di lavoro in più? Una più sommessa riflessione sulle reali opportunità di crescita del territorio sarebbe stata senz’altro più utile alla causa.
Last but non least, c’è una questione di democrazia. Su questo punto occorre la massima chiarezza. La democrazia non è solo una questione di quantità. Non è che c’è maggiore o minore democrazia in coincidenza di un maggiore o minore coinvolgimento delle popolazioni. Su temi dai risvolti complessi, come è quello che stiamo analizzando, il coinvolgimento del territorio è senza dubbio un elemento fondamentale. E tuttavia, una volta conseguito, attraverso il confronto e non lo scontro, il migliore equilibrio possibile dei valori in campo, insieme ad un programma adeguato di compensazioni, si dovrebbe condividere il criterio del “bene comune”, che non è la somma degli interessi dei singoli, bensì il loro superamento per un bene superiore. La democrazia non è fatta soltanto di regole da rispettare, ma anche e soprattutto di comportamenti educati, nel duplice significato di comportamenti competenti e comportamenti rispettosi dell’altro, da offrire nel dialogo e nel confronto.