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Il contributo, apparso ieri su Portalecce, in cui Luigi Lochi delinea i nodi ancora irrisolti intorno alla questione del gasdotto Tap, oltre ad essere come sempre molto puntuale e rigoroso nelle argomentazioni, suggerisce alcune brevi riflessioni di carattere più generale che mi sembra utile proporre per alimentare ulteriormente il dibattito.

Non intendo affrontare i profili tecnici del tema, né quelli giuridici, pur avendo qualche titolo per farlo. Mettendo per un momento da parte anche le pur rilevanti questioni geopolitiche, vorrei concentrarmi sul rapporto tra tre elementi cui Luigi fa riferimento nel suo articolo – democrazia, sviluppo economico e tutela dell'ambiente – perché, rispetto agli altri, sono elementi che toccano da vicino, direttamente, le persone e le comunità coinvolte da vicende quali quelle, per restare al nostro Salento, di Tap e Ilva.

E perché sono elementi inevitabilmente connessi tra di loro se è vero che, per usare le parole di Papa Francesco, “la cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione” (Laudato si', 228). Se, da un lato, è evidente che questa affermazione si rivolga innanzitutto alla comunità cristiana, è allo stesso tempo chiaro che abbia un significato e una portata specifica anche per chiunque sia dotato di un coefficiente minimo di coscienza civica. Credo, allora, che proprio in questo principio, essenziale ma al tempo stesso incredibilmente complesso, si debba individuare il punto di partenza di ogni ragionamento intorno alla questione ecologica. La cura della natura, in altre parole, non può essere considerata un singolare punto all'ordine del giorno tra i tanti che compongono l'agenda quotidiana di una persona o quella programmatica di una pubblica amministrazione; al contrario, essa deve essere organica allo stile con cui l'individuo conduce la propria vita e con cui una comunità determina i suoi orizzonti e gli obiettivi che intende perseguire.

Da quest'ultima considerazione deriva, su un piano puramente logico, l'impossibilità di pianificare qualsiasi programma di sviluppo, intervento strategico, prospettiva di crescita nella produzione e nel lavoro che non siano strutturalmente rispettosi delle peculiarità sociali e ambientali del territorio in cui si inseriscono.

In questo senso, compito di una politica con la P maiuscola dovrebbe essere quello di far uscire questa equazione dal piano puramente logico per farla entrare in una dimensione concreta, provando in primo luogo a rompere un certo schema, dal contenuto vagamente minatorio, che, pur nella inevitabile ponderazione di tutti gli interessi in gioco, impone alle persone di scegliere tra sviluppo economico e tutela dell'ambiente, tra la necessità di lavorare e la possibilità di farlo in un ambiente in grado di consentire, sotto ogni punto di vista, una crescita armoniosa della persona e delle sue relazioni sociali.

Perché una democrazia matura, di cui la buona politica dovrebbe essere strumento, è proprio quella che riesce a valutare in modo competente i diversi interessi in campo; che non strepita cavalcando il malcontento e prospettando per problemi complessi soluzioni a buon mercato che, alla prova dei fatti, si rivelano irrealizzabili; che è in grado di assumersi le proprie responsabilità e far rispettare le decisioni assunte purché queste decisioni non siano asservite ai macrointeressi di pochi, bensì orientate dalla volontà di creare “quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (secondo la definizione di “bene comune” che dà la Gaudium et spes, 26).

Sarebbero, queste, tutte considerazioni che potrebbero risultare quasi banali se non si scontrassero con la realtà di un territorio in cui si discute, tra le altre cose, degli accordi tra Ilva e sindacati e dei ristori ai comuni interessati dal passaggio di Tap, della mancata assunzione di responsabilità di chi in passato ha determinato queste situazioni e delle fantomatiche promesse elettorali di chi oggi è chiamato a governare. E che sono quindi, proprio per questi motivi, considerazioni che devono essere riaffermate con forza.

 

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