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Umberto Eco affermava che il mondo dei social ha consentito l’accesso alla scena mediatica allargata, a un manipolo di soggetti (in verità lo studioso usava un’espressione molto più colorita) che in passato potevano fa pesare la loro opinione al massimo nel gruppo ristretto del bar dello sport.

Non è intenzione di questo intervento discutere l’affermazione di Eco, anche se essa non appare comunque priva di fondamento. A ben guardare il mondo dei social adotta un sistema espressivo a tutti gli effetti costruito sui presupposti di quel processo che Edgar Morin definiva in termini di semplificazioni terribili.

Semplificare vuol dire considerare sotto un unico aspetto un problema, una realtà, un processo che, per essere ben compreso, ha bisogno, invece, di essere analizzato sotto una molteplicità di aspetti.

Le semplificazioni operate dai social si rendono evidenti nei post di molti “frequentatori”.

Esse si manifestano, per esempio, nella scelta degli argomenti proposti dagli utenti: comunicazioni riguardanti che cosa, dove e quando si sta mangiando; contenuti che esprimono il proprio pensiero su un fatto o un argomento, senza che sia chiaro il motivo per cui esso dovrebbe interessare agli altri, e che viene proposto al preciso scopo di fornire perle di saggezza che hanno la presunzione di insegnare come si vive, ciò che è giusto, ciò che è corretto, ecc.; costrutti postati da persone sconosciute, che però si percepiscono (non si sa bene per quali ragioni),  come portatori di una elevata competenza nei campi più disparati della scibile umano (medicina, psicologia, sociologia, pedagogia, ecc).

Ma le semplificazioni si rendono manifeste nelle affermazioni che liquidano in una frase di mezzo rigo un problema che richiede, invece, un registro argomentativo più robusto: i giovani sono maleducati perché i genitori non sono severi; le città sono insicure per colpa degli stranieri; mettere le telecamere negli asili, ecc.; il tutto chiosato da un invito: se sei d’accordo condividi/metti mi piace, ecc.

A ben guardare si tratta di semplificazioni legate alla struttura linguistica che le sorregge e che è riconducibile allo schema (semplicistico) Se succede A è perché B. Certo i social non sono soltanto questo, hanno anche molti punti di forza. Tuttavia la frequenza e la consistenza di tali semplificazioni induce la necessità di considerare i rischi relativi: quello, già evidenziato, di ridurre un problema complesso alla considerazione di un solo aspetto; e quello di oscurare la consapevolezza che la realtà delle cose è sempre molto più ampia delle idee e degli schemi che i adottano per pensarla. Entrambi questi aspetti sono le condizioni che generano superficialità e, soprattutto, precludono la strada alla costruzione di una società più tollerante e accogliente.

 

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