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Ho ascoltato la conferenza del prof. Umberto Galimberti attraverso il VIDEO  che i cittadini di Campi Salentina hanno diramato sui social.

 

 

Non è la prima volta che leggo o ascolto il professore, di cui apprezzo la chiarezza nell’esposizione e alcune idee per quanto concerne l’analisi dell’attuale società.
Non è neppure la prima volta che vengo a conoscenza della sua posizione nei confronti del cristianesimo (preciso: cristianesimo e non Chiesa), a proposito del quale egli con invidiabile perseveranza trova sempre l’occasione per esprimere un giudizio negativo.
Nella conferenza tenuta a Campi Salentina il 18 agosto scorso lo ha fatto nell’ambito del tema: La parola ai giovani, il titolo del suo ultimo libro.

APPREZZAMENTI
Premetto che la seconda parte della conferenza, nella quale il professore ha trattato l’argomento riguardante i giovani in senso più specifico, mi trova fondamentalmente d’accordo. Egli infatti ha denunciato l’assenza di uno “scopo” della vita che viene a mancare alle nuove generazioni a causa di un’impostazione e una visione della vita che ruota tutta attorno al denaro. Concordo sull’uso improprio dei social e della tecnica in generale. Condivisibile l’analisi sulla vita dei bambini in mezzo alle cose e alla tecnologia, i regali al posto delle parole mancate, sulla distruzione del desiderio e sulla necessità, a livello educativo, di alimentare il desiderio. Molto d’accordo sul fatto che si insegna e si apprende per fascinazione. E infine non posso non essere d’accordo sul fatto che la cultura fa la differenza.

QUALCHE RILIEVO CRITICO
Sento altresì il dovere di evidenziare altri passaggi presenti soprattutto nella prima parte della conferenza, che hanno a che fare con la valutazione del cristianesimo nell’ambito della civiltà occidentale.
Il prof. Galimberti prima di addentrarsi nell’analisi della vita dei giovani dice che occorre per comprendere meglio aprire una parentesi. Cito testualmente: Dobbiamo mettere tra parentesi la nostra cultura cristiana. Nostra nel senso che, anche se io non sono cristiano, perché penso in modo greco, cioè prendo sul serio la morte, a differenza dei cristiani che si aspettano… e a partire da lì un futuro. Ecco noi abbiamo questa concezione cristiana molto interessante, perché il cristianesimo ha immesso nella nostra cultura una sorta di ottimismo incredibile, al contrario, egli continua, è la visione tragica dei greci, che non dice in che cosa consista, se non che si parte dall’età dell’oro per decrescere man mano che si va avanti. Visione greca che il Prof. dice di condividere.
Esplicita, invece, l’”ottimismo incredibile”, secondo lui, proprio del cristianesimo, proponendo delle triadi temporali, passato, presente, futuro, su cui si costruisce questo presunto ottimismo. Cito ancora testualmente: il cristianesimo ha capovolto la dimensione tragica dei greci impostando il tempo secondo questa modalità: il passato è male, il peccato originale, il presente è redenzione, il futuro è salvezza.
Poi aggiunge che tutto in occidente è cristiano e segue questa scansione triadica: Anche la scienza quindi ha una cultura cristiana. Anche Marx è un grande cristiano, pensa che il passato sia ingiustizia sociale, il presente far esplodere le contraddizioni del capitalismo, il futuro giustizia sulla terra. Anche Freud che scrive un libro contro la religione pensa che il passato sia il tempo in cui si formano le nevrosi, i traumi, il presente terapia, il futuro guarigione. Tutto è cristiano in Occidente. Tutto. Cristiani sono anche gli atei, cristiani sono anche gli agnostici.
Per arrivare a dire: Il cristianesimo non è solo una religione ma una cultura, io direi addirittura che è uno stato d’animo, caricata di una figura essenziale che si chiama speranza per il futuro.
E finalmente con la parola “speranza” il professore sembra aver trovato la chiave di lettura per cui il cristianesimo si è rivelato una iattura per l’occidente. E i mali che ne sono derivati lungo la storia, fino a giungere all’attuale situazione dei giovani privi di futuro, sembra sia per colpa della “speranza” di cristiana memoria.
Che il cristianesimo, (io aggiungo ciò che non ha mai detto nella conferenza il prof.) insieme alla cultura greco-romana e all’ebraismo, abbia permeato la cultura occidentale, lo sanno tutti. Che soprattutto noi italiani (a prescindere dall’essere credenti o meno) non possiamo non dirci cristiani, come afferma Benedetto Croce (il quale però non pensava che ciò fosse una disgrazia per gli italiani) è altrettanto evidente. La Divina Commedia, che il prof. Galimberti giustamente chiede sia fatta conoscere ai giovani con quella giusta passione, che rappresenta una “Summa del cristianesimo”, non penso sia una disgrazia per la cultura mondiale.
L’elenco dei segni e delle tracce lasciate dal cristianesimo sono sotto gli occhi di tutti. Naturalmente la storia registra anche gli aspetti “fuorvianti” non del cristianesimo in sé, che il prof. condanna senza appello, ma di cristiani che hanno tradito e tradiscono la loro stessa fede.
La speranza cristiana è menzionata dal professore (solo menzionata senza alcuna spiegazione), come alcune barzellette presentano i carabinieri. È l’aspetto ridicolo della speranza che il prof. assume come presupposto di una visione cristiana della vita e della società. Così come in precedenza altri “saggi” avevano parlato della fede, assumendone una dimensione ridicola, la fede come superstizione, dimenticando che la fede cristiana non è quella a cui pensa il grande Platone. La fede cristiana viene dopo Platone, dopo Aristotele. La fede cristiana non mette sul piano del ridicolo né Platone, né Aristotele, né la scienza, ma valorizza tutto.

Altra affermazione davvero sconcertante del prof. Galimberti è quella a proposito del primato dell’individuo sulla società come linea propria del cristianesimo. Ma anche a questo proposito egli va a pescare sempre nelle barzellette e nelle forme di spiritualità deviate del cristianesimo, quali ad esempio il giansenismo.
Il prof. non ha mai sentito dalla bocca di qualche cristiano, Papa Francesco compreso, che il bene comune viene prima del bene individuale, che anzi il bene individuale è veramente tale quando coincide con il bene comune?
Storici anche non credenti sono tutti d’accordo nel riconoscere alla Chiesa e quindi al cristianesimo l’aver “scoperto i poveri” e aver avviato un processo di inclusione degli stessi, purtroppo non sempre riuscito, là dove la società greco-romana semplicemente li ignorava, non riusciva neppure a vederli .

Mi accorgo che scrivendo mi sto appassionando a temi sui quali sarebbe interessante parlarne a più voci, con il desiderio da parte di tutti di contribuire alla crescita culturale della nostra società, che sono convinto, abbia bisogno dell’apporto di tutti e non del pensiero unico. Su questo, penso sia d’accordo anche il prof. Galimberti, al quale rinnovo il mio rispetto, pur con idee diverse dalle sue.

 

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