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In queste settimane di particolare, morbosa attenzione mediatica verso l’efferato omicidio dei due giovani leccesi brutalmente accoltellati, partecipo al coro degli sbigottiti con alcune osservazioni di natura linguistica. Non contengono alcun messaggio moralistico o qualcosa che si avvicini.

 

 

Mi riferisco al significato del termine volvo mirabilmente scritto da Nicola Gardini nel suo prezioso libretto “Le dieci parole latine che raccontano il nostro mondo” (La Repubblica 2019), dichiarandomi d’accordo con l’autore fin dall’introduzione, quando scrive: «[…] basta alzare gli occhi, guardarsi attorno, mettere a posto la vista e il latino apparirà. […] L’attualità non è tutto il presente […] Quello che accadde nella Roma di venti o venticinque secoli fa ci riguarda ancora, è parte essenziale della nostra vita mentale e sociale di adesso».

La veridicità di tali affermazioni fanno accapponare la pelle o fanno riflettere perché inducono a pensare che, così tanto tempo allora è trascorso invano? Non abbiamo imparato niente se siamo artefici di una continua ripetizione dei fatti o dei comportamenti? E, quindi, che alcune deviazioni mentali sono a-temporali?

Alcuni resoconti giornalistici sull’anzidetto accoltellamento, per sottolineare la celerità e la veemenza dello stesso, hanno riportato che è stato eseguito nel volgere di appena dieci minuti, mentre, secondo le intenzioni dell’esecutore, sarebbe dovuto durare un’ora e mezzo per assecondare un proprio piano “diabolico” i cui passaggi non è qui il caso di ricordare.

Prendo in prestito la ricca e interessante spiegazione del termine volvo che fornisce il Gardini per trovare punti di collegamento coll’anzidetto massacro di via Montello, avvenuto a Lecce il 21 settembre 2020 e metto tra virgolette le sue parole.

L’arcaico volvere, italiano volgere, compare in Lucrezio, Virgilio, Petrarca, Ariosto, Marino, Leopardi, Montale e via elencando; è un vocabolo che viene usato quando si parla di passione, di amore sballottato come il vento; «volvo è verbo da registro sublime, verbo da epica».

In Lucrezio volvo designa di norma un movimento circolare o rotatorio e questa idea si mantiene pure in Virgilio. Questi, nell’Eneide «sembra però conferire al verbo anche un senso meno specifico: quello di moto precipitoso, inarrestabile, fatale». All’attivo, nell’Eneide «volvo viene a significare “spingere”, “sospingere”, “travolgere”, “abbattere” o “trascinare”. […] L’effetto del travolgere provoca morti». Virgilio ha saputo fare di volvo un verbo «ricco di pathos: il verbo della morte violenta, del destino tragico».

Da volvere i verbi italiani involvere, sconvolgere, travolgere e i sostantivi rivolta e rivoltella che, certo, non contengono significati rassicuranti, ma incutono sentimenti sinistri se non proprio tragico-delittuosi.

Nel caso del presunto omicida leccese, egli non ha scelto la rivoltella perché avrebbe azzerato (o ridotto sensibilmente) il tempo della sofferenza della vittima designata oltre che quello del proprio godimento a vederla soffrire per appagare la sua sete di vendetta, ma un coltello da caccia perché rispondeva meglio al suo piano di crudele spietata efferatezza.

Ecco in quale passeggiata lessicale ci ha condotto una piccolissima espressione giornalistica, molto comune nel lessico quotidiano, apparentemente semplice e inoffensiva.

 

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