Lo scorso 4 novembre, com’è noto, l’aula della Camera ha approvato il testo unificato delle proposte di legge di contrasto alla discriminazione e alla violenza per motivi legati a sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere ai quali, durante l’esame in assemblea, è stata aggiunta anche la disabilità. Il voto si è svolto a scrutinio segreto. Il testo passa ora al Senato.
In attesa di conoscere il contenuto del testo approvato per analizzarlo oggettivamente, abbiamo raccolto la riflessione di Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita e prorettore vicario dell’Università europea di Roma.
Professore, secondo lei si tratta di un provvedimento necessario o il quadro normativo attuale era già sufficiente al contrasto dell’omotransfobia e delle discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità?
L’intento di garantire il rispetto di tutte le persone, indipendentemente dal loro sentire o dalle loro opinioni in tema di affettività o sessualità, risulta del tutto condivisibile e va perseguito con impegno unanime. L’interrogativo che si pone, tuttavia, è se le modifiche normative proposte - e in particolare l’enfatizzazione dell’intervento penale rispetto a condotte già penalmente sanzionate - risultino ragionevoli rispetto all’obiettivo, o finiscano per produrre, invece, effetti problematici in merito alla certezza del diritto e all’esigenza di non incrinare il principio cardine per qualsiasi ordinamento democratico-liberale costituito, ai sensi dell’art. 21 della Costituzione, dalla libera espressione di opinioni su qualsiasi tema. Nel nostro stesso ordinamento penale sono già previste sanzioni applicabili sia per atti di violenza, sia per altri tipi di offesa perpetrati nei confronti di chiunque.
Qualcuno parla di legge “liberticida”. Qual è la sua opinione?
Le norme proposte soffrono di uno strutturale difetto di determinatezza, in contrasto col principio costituzionale di legalità. Un delitto consistente nella commissione di generici “atti di discriminazione”, oppure nell’istigazione a commetterli, comporta il rischio dell’apertura di processi penali, in base alla mera espressione di punti di vista - sul piano etico, filosofico, pedagogico, psicologico, religioso, ecc. - circa il modo di vivere l’affettività e la sessualità. La loro sussistenza viene rimessa a una discrezionalità giudiziaria della quale non è possibile prevedere a priori, per ciascun singolo caso, i criteri di utilizzo. Né il problema è risolto dall’avvenuta introduzione dell’emendamento che dichiara “consentiti” - termine davvero paradossale - quelli che costituiscono ovvi diritti costituzionali, vale a dire “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”.
In occasione della Giornata nazionale del 17 maggio contro l’omotransfobia istituita dall’art. 6, il comma 3 stabilisce che vengano organizzate iniziative “educative” nelle scuole, anche in quelle elementari. Lei ravvisa in questo un rischio ideologico?
Negli ultimi anni si sono registrati numerosi progetti educativi e culturali offerti agli alunni che fanno propria una concezione di identità personale e affettiva svincolata dalla differenza biologica tra maschio e femmina. Questi progetti sono talvolta entrati nelle aule scolastiche senza il consenso esplicito delle famiglie. L’apparente obiettivo dell’educazione all’uguaglianza, del contrasto delle discriminazioni, del bullismo e degli “stereotipi di genere” è scivolato nella promozione di una cultura che cancella le diversità biologiche tra maschio e femmina. Nell’ottobre 2017, tuttavia, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha emanato le Linee guida nazionali per la redazione del piano triennale dell’offerta formativa (il cosiddetto Pof), che hanno cristallizzato il diritto-dovere primario dei genitori all’educazione dei figli e il principio del consenso informato degli stessi rispetto alle attività non obbligatorie. Sono indicazioni importanti - confermate dai governi successivi - per l’effettiva condivisione della proposta educativa da parte delle famiglie.
Che cosa si augura nel passaggio al Senato?
È auspicabile riprendere l’intera problematica con pacatezza per soluzioni condivise, se davvero si intende consolidare nella nostra società la percezione del rispetto incondizionato dovuto verso qualsiasi persona, a prescindere dalle sue condizioni, dai suoi convincimenti o dalle sue scelte di vita. L’enfasi accordata alla forma sanzionatoria classica che si focalizza sulla pena detentiva finisce fatalmente per non contribuire alla revisione di stili comportamentali sbagliati, anche con riguardo al contesto delle persone vicine all’autore stesso: con prevedibili effetti ulteriormente divisivi e di radicalizzazione, in queste persone, del senso di ostilità verso determinate categorie di individui. Non dimentichiamo, infatti, che i comportamenti offensivi dei quali si discute fanno capo, molto spesso, a soggetti scarsamente integrati o acculturati, nei confronti dei quali appaiono necessari percorsi più orientati alla risocializzazione che non alla persecuzione di un reato.