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L’ars, arte, come la intendevano i latini, non riguarda soltanto la creatività o l’invenzione di qualcosa, ma la trasformazione in applicazioni concrete di conoscenze astratte che dimostrano una certa predisposizione.

 

 

Al contrario di quanto si possa credere, il significato dell’anzidetta voce latina non presuppone spontaneità, impulso, istinto, immediatezza bensì tecnica, calcolo, metodo, programmazione. Paradossalmente il monosillabo ars richiede preparazione, formazione impiantata su una moltitudine di regole da memorizzare e mettere in pratica dopo avere studiato con regolarità: ciò rende capace l’uomo di compiere in sicurezza un’operazione.

Nel vasto campo dell’ars è compresa l’ars amatoria, l’arte di amare; l’ars medica, l’arte medica; l’ars vitae l’arte del sapere vivere; l’ars politica, l’ars poetica o della composizione e via elencando.

È assolutamente riduttivo pensare che esista unicamente l’arte il cui fine è soltanto estetico.

Talvolta l’ars, contrapposta alla natura - sempre vera, da intendere oltre che come realtà fisico-biologica come qualità caratterizzante l’individuo -, è ingannatrice e falsa; tuttavia, poiché è la sintesi di regole che stanno insieme in virtù di un metodo, essa tende a raggiungere un fine utile alla vita o che aiuta a vivere. Per migliorarsi e facilitare siffatto obiettivo, secondo gli antichi Romani, occorre applicarsi allo studio. Esso è fondamentale. Anche se poi riconoscono che servono anche doti umane innate come la prontezza mentale, l’intuito, l’intelligenza. Se queste sono assenti, asseriscono, non c’è nulla da fare.

Nel corso del tempo vi sono stati numerosi contributi di scrittori, filosofi, letterati come Orazio, Cicerone e, più vicini a noi, Baudelaire, James, Proust e tanti altri i quali hanno coniato la propria definizione di arte.

Rimaniamo tra gli autori del periodo classico non soltanto per convenienza, ma per riconoscere a loro una sorta di priorità nel delineare un significato illuminante del vocabolo ars e del suo plurale artes. Del primo si è già accennato. Il plurale, secondo Tacito «indica l’insieme delle discipline linguistiche e scientifiche che formano l’istruzione alta dove la capacità di formare discorsi occupa un posto di rilievo». Ancora: chi è migliore nelle arti (optimus artibus), sostiene Cicerone, si distingue perché dimostra «prontezza di ingegno, una gran sete di sapere e la capacità di pensare correttamente».

Plinio - scrive il latinista Nicola Gardini - stabilisce un contrasto anche tra ars e ingenium; se l’ars è l’abilità pratica, la capacità d’esecuzione, la concretezza, la lucidità e la serietà (aggiungo io), l’ingenium è l’inventiva individuale, la virtù di trovare soluzioni sorprendenti, il genio si potrebbe definire. Ovvero colui che propende «nell’accorgimento più economico e più efficace; nell’intelligenza dei rapporti tra le cose». Se tutti questi elementi (o qualità caratterizzanti l’individuo) sono assenti, per esempio, nel personaggio politico pubblico, si è indotti a percepirne incapacità di concretezza, di lucidità, di serietà ecc. ecc., ma anche mancanza di spirito di sfida, di prodezza di un gesto che, chissà, potrebbe essere risolutivo di una situazione che appare ibrida, precaria, sospesa.

Di là dal momento caotico provocato dal Coronavirus che sta trovando tutti, o quasi, impreparati o, forse, proprio in questo momento in cui la classe politica sta “navigando a vista”, non sta dimostrando di essere padrona di una strategia politica, ma ne modella una come fosse un’istantanea della giornata, avendo intorno la tanto invocata unità d’intenti nella compagine politica pubblica, emerge evidentissima l’assenza di formazione in una scuola di politica, di uno studio a questa inerente. Come si faceva un tempo? Ma sì, diciamolo pure, senza essere tacciati per favore di dietrologia o di sentimentalismo.

E siccome l’anzidetta mancanza di frequentazione della menzionata scuola e, quindi, di gavetta (nel senso più puro del termine) trascorsa all’interno di un partito, traspare nei comportamenti (pregressi e attuali) e nella dialettica usata dai politici tutti: nazionali, locali e regionali i quali poco o per nulla parlano, per esempio, di future progettualità/governabilità dei luoghi dove condividiamo la residenza e la complessa quotidianità, mi domando cosa aspettano per colmare il vuoto di contenuti e se fanno autocritica per spiegarsi il disorientamento o il diffuso atteggiamento di noncuranza di una buona parte della popolazione oltre che l’allontanamento dalla politica attiva e l’immagine della fallacia che rivestono agli occhi di molti di noi.

Le riflessioni fin qui riportate sono rielaborazioni che rimandano a Le dieci parole latine di N. Gardini.

 

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