Con la comunicazione n. 698 del 12 novembre 2020, la Commissione UE ha definito una serie di strategie volte a implementare l’ideologia LGBTQI negli ordinamenti giuridici dell’Unione e degli Stati membri.
Esse comprendono l’iniziativa per introdurre un reato di omofobia a livello europeo, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri della omogenitorialità e dei matrimoni omosessuali, l’assegnazione di finanziamenti specifici per le iniziative LGBTQI e l’inserimento “into all EU policies as well as into EU funding programmes”, compreso il Recovery Fund per fronteggiare l’emergenza sanitaria, di una enfasi specifica sulla “LGBTQI equality perspective”.
Si tratta, come chiarito dallo stesso documento, di un “salto di qualità” rispetto alle precedenti prese di posizione europee sul tema, che dà vita a una “first-ever LGBTIQ equality strategy”. Essa ambisce, come esplicitato dal comunicato stampa d’accompagnamento, a influenzare gli Stati membri in settori di loro esclusiva competenza nazionale, in relazione ai quali la Commissione si attribuisce il compito di fornire “orientamenti politici, coordinare le azioni degli Stati membri, monitorare l’attuazione e i progressi, fornire sostegno attraverso i fondi dell’UE e promuovere lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri”.
Tale obiettivo, e le azioni in cui esso si traduce secondo il documento, esulano radicalmente dalle competenze degli organi dell’Unione Europea e costituiscono una illegittima intrusione nelle sfere di esclusiva sovranità degli Stati membri. Emblematico, del resto, risulta il dato che, a differenza di quanto generalmente avviene nelle comunicazioni della Commissione, questa sia pressoché priva di riferimenti ai trattati istitutivi dell’Unione: segno, questo, che le competenze attribuite dai trattati all’Unione risultano abbondantemente travalicate dal piano d’azione considerato.
Quanto al riferimento all’art. 2 del TUE e all’art. 23 della Carta di Nizza, fugacemente inserito nella nota 1, è appena il caso di ricordare che essi trovano applicazione esclusivamente nelle materie di competenza dell’Unione e non valgono sotto alcun profilo a estenderle rispetto a quelle tassativamente attribuite dagli Stati membri (art. 6 TUE). L’intervento proposto dalla Commissione, inoltre, si pone in contrasto con il fondamentale principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 TUE, che d’altronde neppure viene invocato nella comunicazione, posta l’evidente mancanza dei presupposti in tal senso.
Quanto, in particolare, all’introduzione a livello europeo di un reato di omofobia, risulta manifesta la non riconducibilità ai casi tassativamente indicati dall’art. 83 TFUE, che pure la comunicazione richiama. Essa non rientra, infatti, né nel terrorismo, né nella tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, né nel traffico illecito di stupefacenti, né nel traffico illecito di armi, né nel riciclaggio di denaro, né nella corruzione, né nella contraffazione di mezzi di pagamento, né nella criminalità informatica, né nella criminalità organizzata. Ed è appena il caso di rilevare come la modifica dell’art. 83 TFUE “to cover hate crime and hate speech”, oltre a costituire misura irrazionale rispetto al presupposto dell’art. 83 stesso – colpire reati a dimensione transazionale, quali per definizione non sono quelli d’odio individuale -, non rientri in alcun modo tra i poteri della Commissione, ma sia riservata alla competenza (e al potere di veto) di ciascuno Stato membro.
Considerazioni analoghe valgono per la politica familiare che, come del resto ammette la stessa Commissione, “falls under the competence of Member States”, senza che ciò possa essere derogato nei casi di “cross border situations”. E ciò è a maggior ragione vero nei casi in cui l’elemento di transnazionalità viene inserito dagli interessati al fine di sfruttare le legislazioni più progressiste di altri Stati membri al fine di eludere le legislazioni maggiormente conformi al diritto naturale cui si ispirano altri Stati membri, dando così vita a una violazione del principio generale del divieto di abuso del diritto e delle libertà europee. In proposito, inoltre, deve considerarsi come la legislazione degli Stati membri risponda in molti casi all’attuazione di principi supremi dell’ordinamento costituzionale: si pensi al divieto della maternità surrogata o al commercio di bambini. Per cui eventuali interventi con norme europee di diritto derivato sarebbero comunque inapplicabili in tali Paesi, previa declaratoria di incostituzionalità in parte qua della legge di recepimento dei Trattati.
Quanto osservato per la politica familiare vale anche per la politica scolastica. L’azione prevista dalla Commissione in materia di contrasto agli stereotipi di genere nell’educazione scolastica, infatti, esula completamente dalle competenze tassativamente attribuite all’Unione in materia di istruzione dall’art. 165 TFUE.
Quanto, infine, alla grave subordinazione dei finanziamenti europei all’adeguamento degli ordinamenti degli Stati membri alle azioni contenute nel piano, si tratta di una potestà che esula dai poteri conferiti all’Unione dall’art. 10 del TFUE e dà vita a un’interpretazione di mala fede di trattati istitutivi. L’art. 10 TFUE, infatti, deve essere letto in combinato disposto con gli art. 5 e 6 TFUE e con il più generale principio di razionalità, per cui la leva finanziaria non può essere utilizzata come strumento surrettizio per forzare la sovranità degli Stati membri in materie che esulano dalle competenze dell’Unione Europea. E tale coartazione, da parte della Commissione, appare tanto più odiosa nella misura in cui, dichiarando di applicarsi anche ai finanziamenti per l’emergenza sanitaria, discrimina apertamente i malati e le loro famiglie rispetto ad altre categorie sociali (gli LIGBTQI) senza alcuna base razionale. Manifestamente priva di prove e fondamento è, infatti, l’affermazione secondo cui “the COVID-19 crisis … has disproportionately affected vulnerable LGBTQI people”: anzi, la circostanza che la Commissione ritenga che il Coronavirus abbia colpito più duramente gli LGBTQI rispetto agli altri rende evidente come il concetto di discriminazione e i dati su cui si basa la Commissione risultano irrazionali, ideologici e destituiti di fondamento fattuale.
Si auspica che i gruppi politici presenti nel Parlamento europeo e nel Parlamento italiano, e ogni singolo parlamentare, si attivino in tutte le sedi perché la Commissione ritiri il piano d’azione oggetto della comunicazione n. 698 del 12.11.2020, in quanto posto in essere in violazione delle competenze attribuite dai Trattati; in più di uno Stato membro dell’UE sono già emerse perplessità e riserve sul documento della Commissione, il cui raccordo sarebbe importante.
Riserva eventuali azioni nelle competenti sedi politiche e giudiziarie dell’Unione Europea e degli Stati membri.
*Centro studi Livatino