L’altro giorno, nel giro di poche ore siamo passati dalla diretta dal Senato italiano, con Giuseppe Conte, al giuramento di Joseph Robinette Biden Jr.
A parte il nome di battesimo in comune, altri paralleli e convergenze sono tutte da cercare, per il passato, e da costruire, per il futuro. Non parliamo di persone, ovviamente, ma di politica, tra pandemia e crisi economica, e tant’altro.
Il “Democracy Index – The Economist” pone gli Stati Uniti al 25° posto e l’Italia al 35°, ambedue non tra le democrazie piene (full) ma tra quelle difettose, danneggiate (flawed). A ognuno i suoi panni danneggiati e sporchi da lavare: non c’è dubbio che sono tanti! Alcuni simili, altri no. Riusciranno gli esecutivi interessati a salire in classica verso una democrazia più piena? Risposta difficilissima. La risposta, tuttavia non sta tanto nei discorsi inaugurali, quanto nelle pieghe delle scelte politiche, nell’allocazione delle risorse, nelle scelte culturali, nei fondi per scuola e università, nelle politiche per il lavoro e in quelle sociali e sanitarie. La politica è un campo ampio e complesso. Parlare di salute, scuola, università e lavoro non è un richiamo retorico, né tantomeno un riferimento solo alla crisi attuale. È ben di più.
La lezione aristotelica - con alcuni limiti storici e concettuali - ha ancora il valore di bussola nell’orientare il rinnovamento delle nostre democrazie. In particolare: Aristotele afferma che la città nasce per garantire la buona vita, la vita felice e chi in essa detiene il potere è costituito per creare le condizioni della buona vita, cioè il bene pubblico o comune, nella piena giustizia. Altrimenti la comunità degenera. È qui il criterio fondamentale per leggere tutte le degenerazioni democratiche attuali.
Il concetto di degenerazione, in Aristotele, procede di pari passo con l’identificazione della città migliore, cioè quella città dove la natura umana si può attuare al meglio. Le caratteristiche di questa sono tre: educazione dei cittadini, costituzione legislativa e amministrazione pratica; tutti aspetti che si devono distinguere per la loro eccellenza, altrimenti la democrazia degenera. Ancora più chiaramente va detto che oggi non ci può essere buona politica se mancano tre elementi.
Un rinnovato impegno educativo: scuola, università e media necessitano di fondi, linee guida e politiche per educare, altrimenti ignoranza, rabbia, volgarità, corruzione e populismo cresceranno ancora più.
Il rinnovamento istituzionale nel quadro costituzionale: le riforme vanno fatte, subito, bene e senza personalismi e interessi di bottega. In casa nostra: senza una seria legge elettorale non ci sarà mai autentica rappresentanza e fondata stabilità dell’esecutivo.
L’amministrazione pratica, gli anglosassoni le chiamano policies. In Parlamento, come nel Governo e nelle Regioni, abbiamo parecchi politici che hanno perso il contatto con la realtà, vivono nel mondo dei loro piccoli (e alcune volte sporchi) interessi, spesso con un Io ingombrante che si sazia solo di follower e consensi. Due esempi: alcuni parlano di Dad ma non hanno la più pallida idea del peso, di questo tipo di didattica, su studenti, docenti e genitori; oppure altri parlano di ospedali e non hanno mai ascoltato le testimonianze di chi ci lavora o ci soffre, oggi, negli ospedali.
Ho ascoltato il discorso di Joe Biden, come 46° presidente degli Stati Uniti. Seguendolo ho notato la capacità di intrecciare parole, ferme e precise, a emozioni, forti e sentite. C’è sempre una possibilità per la democrazia, che è “debole e fragile”, ha detto. Ha anche fatto riferimento alla possibilità che deve prima aprirsi nell’interiorità di ognuno; rifiutare ogni manipolazione della verità, costruire unità. “Lo so - ha detto Biden - parlare di unità può sembrare una folle fantasia in questi giorni. So che le forze che ci dividono sono profonde e reali. E so anche che non sono una novità. Ma l’unità è l’unica strada per andare avanti”.