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“Non approcciarsi ai social con le logiche degli influencer; puntare alla costruzione della comunità più che alla divisione in tifoserie; non sottovalutare mai l’importanza del linguaggio; non utilizzare parole che raccontano solo il proprio ego; usare i social con maturità umana; far tesoro della ricchezza della propria spiritualità; essere originali nella fede; ricordare sempre di vere un’unica identità; abitare i social significa studiarli; impegnarsi per una formazione continua e permanente”.

 

 

 

A stilare questo decalogo per un buon uso dei social media è Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per le Comunicazioni sociali, nel suo ultimo libro, “Social media: uso o ab-uso? Una comunicazione dal cuore cristiano”, in uscita per i tipi della Libreria Editrice Vaticana (Lev). In 10 punti, Corrado propone risposte concrete e mette in luce alcuni pericoli, spiegando, grazie a diversi specialisti del mondo della comunicazione - filosofi, religiosi, antropologi, poeti - perché lo stile cristiano può fare la differenza.

“Come evitare la banalizzazione della parola e il protagonismo? Possiamo essere originali nella fede?”, sono alcune domande formulate nel volume, in cui l’autore invita sia preti che laici alla “costruzione della comunità più che alla divisione in tifoserie” e mette in rilievo l’importanza dell’utilizzo dei nuovi media per favorire la cultura dell’incontro, auspicata a più riprese da Papa Francesco. L’ambiente digitale non è “un semplice confine geografico”, ma “un continente in cui l’umanità non deve solo essere un algoritmo”, il punto di partenza. L’obiettivo “non è il like ma l’amen, la Verità”, senza mai perdere di vista la giusta direzione: “La ricerca del bene comune”.

 

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