“Chi comprende il valore e la funzione del seminario, ha compreso l’origine dell’architettura religiosa del mondo cristiano. Chi ama il seminario, ama tutta la società al cui benessere esso è destinato”.
Con queste parole, pronunciate il 6 agosto 1955, Giovanni Battista Montini spiegava il suo attaccamento al seminario “Lombardo-Romano”, come amava chiamarlo da ex alunno. Ad indagare la profondità di questo rapporto per il futuro Paolo VI, oggi proclamato santo, è mons. Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa pontificia, nel suo volume “Un posto benedetto” (Edizioni Viverein), in cui ricorda che dopo gli Anni Settanta, gli anni della contestazione, c’è stato il crollo degli aspiranti preti in Italia: nel 1970, infatti, i seminaristi erano 6.337, oggi sono 1.804. Tra il 2000 e il 2019 il calo è stato del 28%.
“Questo libro nasce dall’idea di commentare alcuni testi di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con le opere d’arte presenti nella cappella del Pontificio seminario lombardo, e del Seminario romano maggiore, recentemente rinnovata”, spiega l’autore del volume. Il luogo da cui parte la riflessione, quindi, è proprio la cappella, “centro della vita liturgica comunitaria di un seminario, e cuore della preghiera personale”, dove “si rafforzala vocazione di un seminarista o di un giovane sacerdote, e nascono progetti di vita e linee di comportamento”. “E’ essenzialmente dalla vostra vita eucaristica personale, dal vostro modo di celebrare la messa e di curarne l’assistenza che dipende il grado di intensità della fede nelle comunità che vi saranno affidate”, scrive ad esempio Paolo IV il 12 giugno 1971. Ed è sempre in cappella, davanti all’Eucaristia, che si potrà risolvere il problema delle vocazioni: “Bisogna pregare per le vocazioni. Bisogna pregare affinché anime generose, giovani specialmente, sentano il fascino misterioso e potente dell’amore che si dona”.
“Il Seminario non è una pensione”, il monito di Montini: “è una comunità che ha una fisionomia, una sua nobiltà, una sua storia” fatta di una sapienziale combinazione tra passato, presente e futuro: “Vi è un presente, e vi è un futuro, che vengono magnificamente in composizione con il passato, e conferiscono al tempo, che qui avete la fortuna di trascorrere, una pienezza di incomparabile pregio”. “Non l’orgoglio e non la vanità del passato, che possono vegetare come erbe indiscrete sopra un monumento, devono nutrire le vostre fantasie”, le raccomandazioni di Paolo VI al Seminario romano: “ma il senso del disegno storico-provvidenziale, che in questa istituzione si dispiega, e che arriva alle vostre mani, perché lo abbiate a continuare, alle vostre anime perché lo abbiate a comprendere e ad arricchire del merito della vostra fedeltà e della vostra virtuosa testimonianza”. Poi i suggerimenti più intimi per la preghiera in Cappella: “Createvi una cella interiore: per soppesare il valore autentico delle cose. Diventerete realisti e non sarete ingannati dal troppo orpello che è offerto dal facile mercato del mondo”.
“Un mondo vecchio e deluso, dopo le catastrofi che hanno colpito la nostra generazione, attende l’afflusso di una gioventù nuova”, le parole profetiche che sembrano scritte oggi. Come questa preghiera, davvero senza tempo: “Abbandònati, tanto avrai, quanto amerai, avrai ciò che hai donato; confonditi con gli altri, ama il tuo prossimo come te stesso, i confini del te stesso devono prendere le proporzioni di tutti gli altri, dell’umanità”.