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La vita si accompagna sempre con l'informazione e il trasferimento di esso; nessun vivente può continuare a vivere al di fuori di questo scambio con gli altri da sé. Tuttavia, bisognerebbe avere l'onestà di riconoscere, non tanto il desiderio di comunicare all'altro, quanto il desiderio di essere riconosciuti dall'altro.

 

 

 

Se è vero che per comunicare è necessario trasmettere e scambiare messaggi e informazioni, non è per nulla vero che ogni trasferimento di informazione consista, di per sé, in un'autentica comunicazione. La comunicazione, nel suo senso più profondo, implica un “tipo di relazione” che la categoria dello “scambio” non è in grado di interpretare.

Il filosofo Ricoer ha definito il semplice trasferimento di informazioni una “trasgressione” osservando che essa si impone come “paradosso per la riflessione”.  Questa “natura trasgressiva” è pertanto da ricondurre all'urgenza di un “ascoltare” la cui drammaticità non è mai risolvibile nelle difficoltà: si tratta di “intendere” l'altro secondo una modalità dell'ascoltare, non un semplice “sentire”.  D’altro canto, Dio ha trasceso la creazione stessa “svuotandosi” e assumendo una condizione umana di ascolto. Dio ha creato qualcuno a cui poter parlare istruendolo come soggetto capace di rispondere. La parola che il Dio biblico rivolge all'uomo, ha un contenuto chiaro ed è un contenuto che non si può in alcun modo trascurare: così facendo, la parola con il suo semplice rivolgersi a qualcuno, istituisce la stessa identità soggettiva di colui a cui si rivolge rendendolo capace di risposta.

Questa parola è la stessa che chiama alla responsabilità verso l'altro e verso tutto il creato. Dio mi parla per darmi la parola e liberarmi a una responsabilità che è solo mia: “mi parla per potermi ascoltare”. La rete ha globalizzato la “parola” e l'uso improprio dei selfie (una rappresentazione di sé) ha dato spazio alla tempestività della realtà e al richiamo di un'incertezza relativa alla propria identità.

Spesso nella rete ci si illude di comunicare, ma il più delle volte si fa tutt'altro come il limitarsi a scambiare semplici informazioni e dati. La “parola” oggi ha bisogno di centrarsi sulla responsabilità attraverso la categoria dell'ascolto. Bisogna imparare ad ascoltare, sempre e contemporaneamente, sé stessi, l'altro è la realtà a cui si riferisce. Di fronte a un intreccio complesso di questioni, chi può immaginare di potersi approcciare alla “parola” e alla “comunicazione” facendo unicamente affidamento alla propria passione ai propri dispositivi tecnologici? Le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste.

 

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