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C’è qualcuno in grado di fare qualcosa - concretamente - per la pace in Medio Oriente? Per Federico Rampini, editorialista del Corriere della Sera, prestigiosa firma del giornalismo italiano, per anni politicamente impegnato a sinistra, sembra proprio di sì.

 

 

Lo scrittore-giornalista ha di recente dato alle stampe la sua ennesima fatica editoriale: “Il nuovo impero arabo. Come cambia il Medio Oriente e quale ruolo avrà nel nostro futuro” (Solferino, maggio 2024, pagg. 268). Il nuovo impero arabo delineato da Rampini, fine analista di geopolitica, è il Regno dell’Arabia Saudita, con le sue proiezioni strategiche fra il Golfo Persico e il Mar Rosso.

Qui il giornalista si è recato due volte: la prima volta nel 2017 quale corrispondente accreditato a seguito del presidente Donald Trump e più di recente agli inizi di questo 2024. Senza dimenticare una sua visita in Iran nel 2018… Forte di queste esperienze e di impressioni ricavate di prima mano, Rampini partecipa ai suoi lettori la convinzione del cambiamento in atto in Arabia Saudita, avvenuto nel giro di pochi anni, e tutto ciò grazie all’azione del giovane principe Mohammed bin Salman, vero protagonista del nuovo corso.

Il libro chiarisce come nel Paese saudita vi sia una vera e propria laicizzazione in atto, che riduce i poteri del clero islamico, liberalizza i costumi e soprattutto migliora i diritti delle donne.

In questo reportage - ispirato dai suoi viaggi più recenti - Federico Rampini racconta il «nuovo impero arabo» che resta comunque un regime autoritario, specie nel campo dei diritti umani riservati agli oppositori politici (vedasi l’omicidio in Turchia del giornalista Khashoggi), ma che vuole rilanciare il proprio ruolo mondiale e geopolitico: “Il principe Mohammed bin Salman (abbreviato: MbS) è un vero modernizzatore: ha il grande merito di avere esautorato il clero islamico più fondamentalista, di avere chiuso i rubinetti dei petrodollari che finanziavano il terrorismo jihadista; ha anche una visione molto progressista sul ruolo della donna nella società, ma da nessuna parte troverete un accenno di MbS a una transizione del Regno verso una democrazia. E anche in questo, in fondo, c’è qualche analogia con Xi Jinping.” (pag. 38).

Il nuovo corso politico impresso dal giovane principe sembra inoltre uscire dal vittimismo anti-israeliano, spezzando la catena dell’odio nei confronti dell’Occidente, che ha portato alla diffusione della Jihad e della violenza fanatica. Così - secondo l’Autore - è anche diminuito il flusso di denaro verso le confraternite wahabite di mezzo mondo, non estranee, almeno alcune, alla pratica del terrorismo islamico. Scrive Rampini: “Se la sfida di MbS sarà vincente, le comunità di immigrati musulmani di seconda e terza generazione in Italia o in Francia, in Germania o in Svezia, avranno finalmente un modello alternativo rispetto alla cultura della recriminazione, alla perenne ricerca di vendette e risarcimenti per i presunti danni subiti dall’Occidente”. (pag. 255). E tutto questo sicuramente è una peculiarità per il mondo islamico, abituato a conoscere la politica estera e gli avvenimenti palestinesi essenzialmente attraverso la voce monocorde di Al Jazeera: “I tg di Al Jazeera sono un bombardamento incessante di immagini a senso unico: le vittime sono solo palestinesi, i carnefici soltanto israeliani. È informazione di qualità ed è lavaggio del cervello. Gran parte del mondo arabo e islamico ha questa fonte di notizie, non ne conosce altre.” (pag. 24).

A proposito di finanziamenti, Rampini ricorda come - dall’altra parte - gli enormi aiuti profusi dall’Occidente alla società palestinese (attraverso l’Agenzia delle Nazioni Unite Unrwa, talora infiltrata da Hamas) non abbia mai generato un qualche senso di gratitudine tra la popolazione araba, anche se parliamo di cifre davvero importanti a confronto di quanto gli stessi Paesi arabi spendono a favore dei propri correligionari palestinesi: “In testa all’elenco dei donatori per il 2022 figurava l’America (344 milioni di dollari), seguita dalla Germania (202), poi dall’Unione Europea come entità collettiva (114), poi da Svezia (61) e Norvegia (34). Nessun Paese arabo, né gli autoproclamati protettori dei palestinesi che sono Cina e Russia, compaiono in modo significativo tra i donatori in quell’elenco. Tuttavia, l’impegno umanitario non ha generato grandi simpatie per l’Occidente.” (pag. 29).

Oggi l’Arabia Saudita è un’area in forte crescita, segnata da faraonici progetti tecnologici all’avanguardia, con ricadute nella geopolitica, nell’energia, nell’economia, nella finanza e nel campo della lotta al cambiamento climatico.

Eppure, l’Arabia e i suoi vicini più piccoli sono sotto la minaccia permanente di un avversario come l’Iran e del focolaio minaccioso del Golfo di Suez, mentre il conflitto israelo-palestinese condiziona leader e popoli di tutta la zona.

Il regime degli ayatollah sembra aver riaffermato con prepotenza la propria centralità nel Medio Oriente proprio a partire dal 7 ottobre 2023: grazie ad Hamas, grazie agli Houthi, è l’Iran ad aver ripreso l’iniziativa, spiazzando tutti i suoi nemici: Israele, Arabia Saudita, America (pag. 171).

Rampini nel suo libro non dimentica le radici rivoluzionarie della teocrazia sciita, allorché evidenzia che nella cerchia dei frequentatori di Khomeini esiliato in Iraq c’erano i membri del Movimento di liberazione iraniano, un’organizzazione dove coesistevano islamisti e marxisti: “Spiccava un personaggio come Alì Shariati, ideologo dell’estrema sinistra…”, che non disdegnava di definirsi “sciita rosso”. Fu poi proprio tale connubio di islamismo sciita e di utopia rivoluzionaria a rivelarsi vincente nella rivoluzione del 1979 e fino ai nostri giorni.

Dunque, l’Arabia Saudita costituisce, nonostante le difficoltà del momento legate alla guerra di Gaza, un autorevole contraltare al centro d’instabilità permanente rappresentato da Teheran, da sempre ostile alla distensione con Israele e nello specifico alla politica degli Accordi di Abramo.

Dal successo nei piani avveniristici di questa parte del mondo - chiosa l’Autore - dipenderanno anche lo sviluppo dell’Africa, la stabilità del Mediterraneo, la sicurezza mondiale, la transizione verso un’economia meno condizionata dal petrolio. Insomma, per Federico Rampini il nuovo corso saudita, in un bilanciamento fra luci e ombre, fa ben sperare e specie per l’Occidente rappresenta una sponda abbastanza sicura su cui puntare per aspirare alla pace possibile. Fin qui il libro di Rampini.

C’è da aggiungere in proposito che - come riporta AsiaNews del 2 luglio 2024 a firma di Dario Salvi - anche la condizione dei cristiani in Arabia Saudita, pur sempre drammatica per la negazione della libertà di culto, sia leggermente migliorata negli ultimi tempi.

Ai cristiani adesso è concesso di formarsi on line, di assistere “da remoto” alla messa, di collegarsi via Zoom con altre comunità, di comunicare tramite la posta elettronica e con le reti social con il resto del mondo cristiano. Tutto questo è possibile grazie al principe ereditario Mohammad bin Salman, sotto la cui guida i controlli e il rigore sono stati allentati, il potere della polizia religiosa e dei volontari della morale ridimensionati. Un tempo, infatti, vi era una sistematica censura di tv, internet e social mentre ora vi sono più possibilità di connessione con l’esterno.

Non è molto, ma almeno è un segnale di speranza…

 

 

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