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Andrea Gaetani, 21 anni, studente in giurisprudenza all’Alma Mater Sudiorum di Bologna, presidente provinciale di Gioventù Nazionale.

 

 

Andrea, chi è lo studente universitario del 2022 e cosa si aspetta da questa esperienza formativa? Tracciamene il profilo.

Lo studente universitario del 2022 è come lo studente universitario dello scorso secolo. Nutre la stessa speranza di vedere realizzati i propri sogni e le proprie ambizioni. La differenza tra le due generazioni risiede nel fatto che qualche anno fa guardare con fiducia al proprio futuro era più semplice, mentre oggi, con la crisi economica e l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, si prospetta ai nostri occhi un futuro annebbiato da tanta incertezza. Questo però ci sprona a rimboccarci le maniche e a impegnarci sempre di più.  

 

Tu sei al terzo anno di giurisprudenza e come ben sappiamo, negli ultimi due anni non è stato quasi mai possibile, soprattutto per gli studenti fuori sede, frequentare l’ateneo. Cosa ha comportato quest’isolamento?

Personalmente, tanta tristezza. Pensare di perdermi così tanti mesi del periodo universitario, in quelli che dovrebbero essere “gli anni più belli della nostra vita”, chiuso tra le mura di casa, mi ha trasmesso una sensazione di emarginazione. Per fortuna, hanno aiutato i mezzi tramite i quali siamo riusciti a rimanere in contatto l’uno con l’altro pur rimanendo a distanza, ma certamente non è la stessa cosa. Sappiamo infatti che l’isolamento, tra i più giovani, ha fatto sì che aumentassero i casi di autolesionismo, tentato suicidio e, più in generale, ha causato innumerevoli disagi dal punto di vista psicologico. Ora siamo felici di esserci ripresi in mano la nostra vita ed aver ripreso ad affollare spazi come quelli dell’Università, ma siamo anche consapevoli di dover ancora fare i conti con i risvolti psicologici del lock down. Lo Stato perciò, deve intervenire con forza con misure a sostegno della salute mentale.

 

Secondo te, giovane impegnato attivamente in politica, quest’ultima presta la giusta attenzione alle istanze che provengono dal mondo universitario?

La risposta purtroppo è assolutamente negativa. E non sono io a doverlo dire: i dati dell’ultima legge di bilancio esprimono in modo chiaro il disinteresse delle Istituzioni nei confronti dell’Università. Solo il 3% delle risorse della suddetta legge sono stati investiti in favore dell’istruzione universitaria. Dato al quale si aggiungono zero investimenti per le borse di studio, solo l’1,7% di fondi stanziati per l’edilizia universitaria, nessun supporto per gli spostamenti degli studenti in questi anni di “didattica a singhiozzo” e nessun intervento per la tutela degli enti sportivi universitari. Un’inerzia istituzionale che persiste nonostante sia stato recentemente istituito un Ministero ad hoc per le Università, separandolo dal Ministero dell’Istruzione. Sarà stata evidentemente una trovata per avere una poltrona in più da spartirsi al Governo, dato questo immobilismo sul tema.

 

Quali sono le oggettive difficoltà che deve affrontare uno studente universitario fuori sede?

Le prime difficoltà riguardano il doversi inserire all’interno di un contesto fino a quel momento sconosciuto, fare nuove amicizie da zero, adattarsi a un nuovo ambiente. Ma queste sono le difficoltà positive che fanno parte del percorso, quelle che derivano dall’essere usciti per la prima volta dalla propria “comfort zone” e dal confrontarsi con una realtà così diversa dalla propria. Le seconde difficoltà sono, invece, quelle che ritengo negative: il doversi misurare con l’estenuante sfida del trovare un alloggio in mercati immobiliari che spesso speculano sui canoni di locazione ai danni degli studenti, la negazione del diritto al voto per i fuorisede o il fatto che non ci sia garantita un’assistenza sanitaria di base.

 

Ritieni che oggi gli atenei siano ancora quei sacrosanti luoghi di aggregazione dove oltre a curare la propria formazione, si possano creare momenti di fertile confronto, di dibattito?

Parlo a titolo personale. Dalla mia esperienza, non ho trovato nel mondo universitario un clima favorevole al confronto e al dibattito. Ho trovato piuttosto, un ambiente estremamente politicizzato in cui, chi la pensa diversamente rispetto alla maggioranza, è fortemente scoraggiato ad esprimere liberamente le proprie idee, e ha quasi – legittimamente – paura a farlo per non vedere compromessa la propria carriera universitaria. Ho visto rappresentanti di certe associazioni, non consentire l’accesso in Università ad altre associazioni di studenti che non la pensavano come loro, tacciandoli come pericolosi fascisti. E li ho visti, in nome della libertà e della democrazia che tanto decantano, proprio nell’Università in cui studio, prendere a calci e pugni miei coetanei, colpevoli di avere un pensiero che loro non condividevano. La realtà è che gli unici fascisti sono loro che, incapaci di confrontarsi sui temi che riguardano l’Università, ti impediscono di parlare utilizzando lo spauracchio del fascismo.

 

Se fossi il presidente del consiglio, quali modifiche apporteresti all’ambito univeristario?

Rimetterei il merito al centro del sistema universitario, potenziando sussidi e borse di studio. In quest’ottica, renderei meno selettivi i test d’ingresso per l’accesso ad alcune facoltà come quella di medicina, facendo piuttosto una selezione al termine del primo anno. Renderei l’Università più interattiva, garantendo strumenti a supporto della didattica e più inclusiva per gli studenti con disabilità, ai quali ad oggi non è garantito alcun aiuto e alcun sostegno. Incrementerei poi gli alloggi, i presidi medici e i servizi sanitari essenziali per gli studenti fuorisede. Aprirei sportelli di ascolto negli Atenei per garantire un sostegno psicologico, necessario oggi più che mai per le generazioni più giovani. Istituirei dei fondi che favoriscano l’immissione degli studenti nel mondo del lavoro, appena conseguita la laurea, rafforzando anche percorsi di orientamento e incontro tra neolaureati e imprese.

 

Rileggendo le risposte di Andrea alla mia intervista, ho provato un senso di fallimento con il conseguente senso di colpa che mi ha fatto sentire fortemente in debito nei confronti di una generazione che a quanto pare noi adulti stiamo trascurando, le istituzioni ignorando e i luoghi deputati alla cultura, boicottando. Ma se spegniamo gli entusiasmi dei giovani, se non accogliamo le loro visioni, se rimaniamo arroccati alle nostre maledette convinzioni retrograde, a quale forma di evoluzione stiamo puntando? E se gli atenei non generano più dibattito, il sano e necessario confronto, anzi si mostrano ostili dinanzi alle convinzioni non conformi ai loro principi, quale cultura stanno promuovendo?

I giovani avvertono il disagio di non sentirsi protetti e tutelati da nessuno. Precarietà, instabilità, ansia, questo emerge dai miei dialoghi con loro ed io, sì io, in prima persona, avverto tutta la responsabilità di una società e di una politica sorda, muta e cieca che altro non cerca che la visibilità di parate inutili dove seminare frasi fatte con promesse che generano speranze puntualmente disattese, anziché andare a preoccuparsi d’indagare realmente nelle necessità di quella fetta di società che rappresenta il futuro del mondo. Vergognamoci!

Preoccupiamoci invece di rimettere il merito al centro del sistema universitario, potenziamo sussidi e borse di studio, premiamo le eccellenze preferendo la selezione naturale agli inutili test d’ingresso che non promuovono affatto il sapere, ma che generano soltanto un giro economico non indifferente. Ridiamo ai ragazzi la speranza, facciamo vedere loro che siamo ancora capaci di produrre cose “buone e belle” per il loro futuro, che siamo coraggiosi al punto da ammettere gli errori di una società vecchia e statica e quindi anche capaci di aggiustarne il tiro. In altre parole, sorprendiamoli! Conoscendoli profondamente grazie ai miei continui confronti fertili con loro, non ho dubbio alcuno che ce ne saranno grati e che ci ricompenseranno.

 

 

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