“Iniziamo questo tempo liturgico con la caratterizzazione del cammino ‘sinodale’ ed è proprio la Quaresima che ritmerà i nostri passi con gli appuntamenti settimanali in parrocchia e in diocesi”.
Lo scrive il vescovo di San Severo, mons. Gianni Checchinato, nel suo messaggio per Quaresima (LEGGI IL TESTO INTEGRALE). “La Quaresima - prosegue - non è solamente il ‘tempo’ in cui vivremo questa prima porzione del cammino sinodale, ma rappresenta anche lo ‘stile’ che desideriamo assumere nella nostra esperienza di credenti, e vorrebbe anche diventare almeno uno degli obiettivi da raggiungere nella nostra vita ecclesiale e personale”.
Il vescovo declina, nel messaggio, tre “dimensioni quaresimali che diventano sfide con cui verificare e rilanciare la nostra vita”. La prima è la Quaresima come “cammino”: “L’obiettivo è la conversione, i passi da compiere sono quelli della lotta contro il male, e le ceneri sono il segno esterno e iniziale di qualcosa che si attua dentro il nostro cuore. C’è dunque un cammino da compiere, un percorso che ci porti dalla nostra situazione attuale a quella di cristiani almeno un po’ più sintonizzati col Vangelo di Gesù”. La seconda dimensione è “andare alla ricerca dell’essenziale”: “Tutte le esperienze che facciamo hanno una risonanza immediata che può essere più o meno profonda, ma tutte lasciano un sedimento nel nostro cuore che va riconosciuto, valutato, e in ultima analisi integrato in qualche maniera nella nostra vita interiore”. Infatti, “quanto non abbiamo integrato dentro di noi, prima o poi ci disintegra!”. Mons. Checchinato osserva: “Quanto più facciamo fatica a metterci in gioco, a scrutare il nostro cuore, a prendere del tempo per fare silenzio e fare contatto con le realtà belle e problematiche che ci abitano, tanto più pensiamo che il male sia sempre e solo fuori di noi, che gli unici responsabili siano gli altri. La Quaresima ci insegna ad andare all’essenziale, a fare verità dentro di noi”.
La terza dimensione “è legata alla verità, a dire la verità, a fare la verità”: “Su questo tema come cristiani dovremmo essere particolarmente esigenti ed intransigenti” e invece “il nostro tempo ha assunto la moda di giocare con le parole, di distorcere le parole a proprio uso e consumo, così come di manovrare la verità per il proprio tornaconto. E tutti siamo un po’ vittime di questa mentalità, senza eccezioni”. “Che bello sarebbe se iniziassimo a praticare un linguaggio non ostile, non solo nella modalità della comunicazione, ma anche nella scelta delle parole! E che bello sarebbe se questo stile fosse quello di una Chiesa sinodale che si sperimenta nell’accoglienza e non nel giudizio pieno di condanna verso gli altri! Potrebbe nascere già da questo stile un invito alla pace, una esperienza condivisa di pace, un frammento di pace che contrasta con i venti di guerra che ora infuriano sull’Europa e non solo”.