Dall’Italia a Leopoli, la Carovana della pace “Stop the War Now” ha portato in Ucraina aiuti umanitari, solidarietà e amicizia; ed è tornata in Italia con profughi scampati alla guerra voluta dalla Russia.
Insieme ai volontari di numerose associazioni cattoliche e laiche era presente anche mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della Fondazione Missio, che racconta a Miela Fagiolo d’Attilia, di POPOLI E MISSIONE le giornate oltre il confine di guerra.
“È stato importante vivere la Carovana di pace, dopo 30 anni dal cammino che don Tonino Bello aveva fatto per Sarajevo - racconta mons. Satriano -. L’associazionismo pacifista cattolico e quello laico hanno organizzato la missione umanitaria in maniera coesa per portare un segno concreto di vicinanza. Una iniziativa di fratellanza concreta nel momento storico in cui si vota per l’aumento al 2% delle spese militari e mentre la guerra sta falcidiando drammaticamente non solo il popolo ucraino, ma anche coloro che stanno attaccando, perché i soldati russi cadono sul terreno. La morte di tanti civili indifesi, di tanti bambini ha bisogno di risposte di vicinanza e solidarietà”.
Mons. Satriano ha visto da vicino “un popolo che affronta la realtà con grande dignità. A Leopoli la gente vive apparentemente come se la guerra non ci fosse, anche se ci si accorge subito che la guerra c’è: nei posti di gestione della vita sociale, ovunque si vedono donne che guidano i tram, i pullman, che indossano la divisa da poliziotto, che sono ai check point. Gli uomini sono assenti, sono al fronte. Tutti hanno sguardi tristi, un vissuto doloroso”.
In città non si vedono profughi. A Leopoli, città vicina al confine polacco e quindi crocevia di migrazione, centinaia di persone in fuga dalle zone calde sono ospitate nelle case o sono in attesa di partire con i pullman verso altre destinazioni in Europa, “Li abbiamo incontrati alla frontiera, li abbiamo visti scendere da un pullman e, in fila indiana attraverso un camminamento predisposto, con dei punti di raccolta, orientati per passare oltre il confine. Leopoli è una città di frontiera dove si raccoglie il dolore di chi scappa dai luoghi assediati, martoriati, di questa guerra. Diciamo che la città è una grande tenda da campo per accogliere con dignità questi fratelli e poi orientarli verso collocazioni sicure. La Polonia accoglie già quasi due milioni di profughi”.
L’esempio di don Tonino Bello e il suo vangelo come disarmante annuncio di pace e fratellanza tra gli uomini, ha accompagnato i giorni della Carovana, come ricorda l’arcivescovo di Bari: “la sua eredità vive nei gesti di chi cerca di costruire la pace. La presenza dei giovani mi ha dato molta speranza, mi ha fatto riflettere su come in questo lungo inverno che stiamo vivendo, ci siano comunque dei segni di speranza che fioriranno. I giovani avvertono che quando l’umano entra in crisi non bastano i discorsi, bisogna muoversi, agire. Attestare una fraternità che è stata testimoniata in maniera semplice, bella, trasportando attraverso l’Europa beni di prima necessità”.
Mons. Satriano è tornato a Bari portando con sé un grande bagaglio di ricordi, ma anche “tristezza, dolore, il suono delle sirene giorno e notte, allarme di probabili attacchi aerei e missilistici tengono sotto pressione costante la popolazione. Mentre il popolo della Carovana della pace riposava nella palestra del seminario di Leopoli, all’improvviso un allarme ha costretto i partecipanti a scendere nel bunker dello stabile. Personalmente sono stato ospitato presso la casa dei Padri Orionini dove molte mamme profughe dai luoghi di guerra sono accolte. In quel frangente, si è sentito il vagito di un bambino nato la mattina precedente: un segnale di speranza, la vita che grida sulla morte. Credo che nella notte che il mondo sta vivendo sia stata accesa una piccola luce segno di benedizione e di pace per molti”.