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Stasera alle 17, a Terlizzi, l’Ambasciata d’Israele in Italia consegnerà l’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” al terlizzese don Pietro Pappagallo, unico sacerdote fra le 335 vittime dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine del 24 marzo del 1944 a Roma.

 

 

 

La cerimonia di consegna che avverrà nelle mani dei parenti di don Pietro, si svolgerà nell’atrio della scuola elementare ad egli intitolata in viale Roma. I nomi dei “Giusti” sono posti sul muro perimetrale dello Yad Vashem, il mausoleo del ricordo a Gerusalemme.

Don Pappagallo, come si diceva, fu l’unico prete a morire alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, dopo essere stato arrestato il 29 gennaio precedente. A favorirne la cattura fu un certo Gino Crescentini, un militare italiano che dopo l’8 settembre 1943, ricercato come disertore, fu accolto nel convento dei Santi Cosma e Damiano.

Don Pietro, completati gli studi teologici al seminario di Lecce, fu ordinato prete a Molfetta, mentre l’Italia si preparava ad entrare nella Prima guerra mondiale, il 3 aprile 1915.

Nei primi anni di ministero don Pietro ottenne incarichi temporanei nelle parrocchie del suo paese, ma dopo la guerra iniziò a collaborare col convitto “Vito Fornari” di Molfetta, fondato nel 1915 da don Giulio Binetti per ricordare un altro prete molfettese. Il convitto era stato creato per ospitare i giovani dei paesi vicini che frequentavano le scuole di Molfetta e non potevano tornare a casa la sera.

Don Pappagallo divenne vicerettore del convitto. Lo lasciò perché nel 1924 fu nominato vicerettore del seminario regionale Pio X di Catanzaro. Col permesso del suo vescovo, si trasferì a Roma nel 1925 per studiare diritto e svolgere attività pastorale a confronto con una realtà urbana. Nel settembre 1928 divenne viceparroco della basilica di San Giovanni in Laterano e l’anno successivo divenne cappellano e direttore spirituale delle suore Oblate del Bambino Gesù, nei pressi di Santa Maria Maggiore. Nel 1930 divenne definitivamente un “prete romano” con l’incardinazione nella diocesi del Papa, e il cardinal Bonaventura Cerretti lo volle quale segretario personale fino alla morte (1933).

Nel cuore della seconda guerra mondiale don Pietro aprì la sua casa ai militari sbandati che avevano visto dissolversi la catena di comando dopo la fuga del re. Ai militari si aggiunsero col tempo alcuni perseguitati politici e - dopo i fatti del ghetto del 16 ottobre 1943 - alcuni ebrei. Don Pappagallo, in contatto con la rete resistenziale, offriva ospitalità e documenti falsi, anche in collaborazione con le suore del convento delle figlie di Nostra Signora di Namur, situato sulla stessa via Urbana.

Dopo la denuncia di Crescentini, il 29 gennaio 1944 don Pietro fu condotto a via Tasso, dove aveva sede la polizia nazista di sicurezza nella capitale (e dove ora ha sede il Museo della Liberazione) . Fu rinchiuso nella cella numero 13, subendo ripetutamente torture e percosse. In quelle settimane di agonia don Pietro mantenne il silenzio sui nomi dei suoi contatti nella resistenza, e si mantenne generoso con i compagni di reclusione.

A seguito dell’attentato compiuto a via Rasella il 23 marzo 1944, don Pappagallo venne incluso nell’elenco delle vittime della rappresaglia tedesca. Fu condotto alle Fosse Ardeatine, unico prete tra i 335 prigionieri eseguiti il 24 marzo. Secondo una testimonianza, avrebbe fatto ogni sforzo per benedire le vittime di quell’eccidio nazista.

La salma di don Pietro, riesumata nell’estate del 1944, fu trasferita a Terlizzi dopo la guerra, nel novembre 1948. Nel 1998 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli conferì la medaglia d’oro al merito civile alla memoria. Durante il Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II lo ha incluso tra i martiri della Chiesa del XX secolo.

 

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