Già da qualche mese è operante in Italia un Osservatorio permanente sui seminari d’Italia, istituito presso la Cei, che subito ha iniziato la sua opera somministrando un questionario a tutti i rettori d’Italia e ai seminaristi che vivono nei 120 seminari maggiori presenti sul territorio italiano.
I risultati sono stati rilanciati dalle agenzie di stampa nei giorni scorsi, e a colpire subito l’attenzione è un dato evidente, riportato da molti giornali: negli ultimi 50 anni il numero dei seminaristi italiani si è ridotto di oltre il 60%.
E in Puglia? Qual è la situazione dei seminaristi della nostra regione?
Come forse molti sanno, da oltre cento anni vi è un unico seminario maggiore, che accoglie i giovani dopo il conseguimento della maturità. Esso è stato fondato nel 1908, e dal 1915 ha sede presso la città di Molfetta. Avere un unico luogo di formazione ha sempre favorito la conoscenza e la fraternità, la creazione di una mentalità comune e di una sensibilità condivisa fra tutti i preti pugliesi.
È ancora così oggi, a Molfetta il seminario è una realtà viva, che raccoglie i giovani provenienti dalle diverse parti della Puglia. Da alcuni anni però il calo numerico dei seminaristi è evidente anche da noi: nel 2016-2017 c’erano 180 giovani, e in questo anno formativo appena iniziato essi sono 114.
Come leggere questo dato? Naturalmente non esistono risposte semplici, e la complessità della situazione richiede considerazioni articolate. Vorrei qui richiamare almeno tre elementi.
Il primo riguarda il notevolissimo calo demografico che sta vivendo la nostra regione. Esso è il risultato dell’intreccio dell’aumento del tasso di denatalità con quello dell’emigrazione giovanile (ogni anno lasciano la Puglia circa 20mila giovani!). La nostra regione vive un iniziale ma inesorabile processo di desertificazione giovanile, e questo non può non avere conseguenze anche sulle scelte vocazionali.
Il secondo elemento è la difficoltà - che non dobbiamo nasconderci - ad intercettare nel nostro lavoro pastorale i mondi giovanili: uso il plurale per esprimere come abbiamo davanti tanti universi diversi, che hanno bisogno di conoscenza, di ascolto, di acquisizione del linguaggio, di accompagnamento, per ritrovare la strada di un dialogo e di una relazione umana che possano diventare il luogo della trasmissione della fede e del vangelo della vocazione. Questa complessità non ci deve spaventare, ma anzi far assumere più responsabilmente la scelta di fare dell’accompagnamento la dimensione centrale della pastorale giovanile e vocazionale, sicuri che il Signore ci precede già nel cuore di tanti giovani che sinceramente restano aperti alle grandi domande della vita. Più restiamo come adulti in questa complessità, e apriamo il cuore e gli orecchi a ciò che i giovani vogliono dirci, più riusciremo a dire anche noi una parola significativa, e a diffondere una cultura vocazionale che potrà fare da fondamento alle scelte singole di ciascun giovane.
Il terzo elemento, e anche qui non dobbiamo far finta di niente, è la necessità di metter mano con più decisione ai processi di formazione permanente del clero, che aiuti chi è già presbitero a restare in un equilibrio di serenità, di gioia e di freschezza personale e pastorale. Il primo luogo vocazionale è proprio il contagio che passa attraverso le persone che nelle nostre comunità sono già preti, e che diventano senza troppe parole un appello per i ragazzi, una parola che fa interrogare i giovani delle comunità in cui essi svolgono il ministero.
Queste considerazioni non ci fanno dimenticare che il Signore continua a far risplendere nel cuore dei giovani la sua luce, che le Chiese in Puglia continuano ad avere una ‘postura di cura’ nei confronti dei più giovani. Con gioia possiamo sperimentare, nella storia di vita di chi arriva in seminario, la fecondità di un lavoro pastorale che continua ad esprimersi nella sua ricchezza, ma che proprio per questo non deve ignorare semplicisticamente la complessità della situazione.
*rettore del Pontificio seminario regionale pugliese di Molfetta