Al pari di ogni ricorrenza importante, evidenziata col colore rosso sul calendario in vigore in Italia, dopo la prima decade di settembre - con lievi modifiche applicate nelle diverse regioni per ragioni climatiche -, normalmente avviene l’apertura delle scuole.
Pertanto, come la Pasqua, la cui data è mobile (ma per altri motivi), anche l’inizio dell’anno scolastico non è fisso; un tempo accadeva improrogabilmente il 1° ottobre e, per l’occasione, si festeggiavano i cosiddetti remigini ossia i bambini della prima elementare che così si appellavano in onore di San Remigio, festeggiato in questo giorno.
Apprensioni, attese, fermenti o ogni altro stato d’animo che albergano nell’intimo di chi è coinvolto, direttamente o indirettamente, all’inizio del nuovo anno scolastico, saranno argomenti di interesse dei mezzi di informazione i quali, tuttavia, non riusciranno a scoprire il tema cardine attorno al quale si dialogherà per migliorare il comportamento degli alunni. Un’opportunità, naturalmente, che non sottragga tempo al programma didattico annuale, ma sia complementare a questo, utile a superare l’aspetto teorico, prevalente nelle discipline scolastiche (naturalmente non tutte) ed a fornire validi orientamenti per il vivere sociale presente e futuro nella collettività.
Viene da chiedersi: il tema al quale qui si allude, esiste nella realtà scolastica e sarà veramente oggetto di argomentazioni? O è pura immaginazione di chi scrive? Il dubbio prevale. Ugualmente all’urgenza di parlare dell’importanza di amare l’ambiente sia esso urbano che periferico, di smettere di rivolgergli gesti che lo offendono e lo sviliscono che, tra l’altro, siccome ci viviamo, è come indirizzarli a noi stessi. Insomma, non è più tempo di prendere sotto gamba e, quindi, di sminuire o di ignorare i momenti di attenzione verso di esso, profondamente mortificato da atteggiamenti di colpevole disinteresse (pubblico e privato), di ingiustificata noncuranza, di plateale idiozia.
Si cerchino occasioni concrete per imprimere il concetto di cura, di tutela, di rispetto dell’ambiente, quello che è appena oltre l’uscio della propria casa il quale, quando lo si offende o lo si ignora, non può difendersi e, quindi, abbrutirlo, è un’autentica vigliaccheria. Diventa in partenza una competizione impari.
Dice Umberto Galimberti che «la condizione elementare e fondamentale per continuare a vivere si chiama amore […] e oggi mancano le condizioni dell’amore». Ecco un buon motivo per educare a elaborare questo alto sentimento al fine di indirizzarlo, oltre che alle persone, alla strada, al rione, alla piazza, all’aiuola, al marciapiede, al parco di cui usufruiamo o frequentiamo o vediamo.
Si sente l’esigenza di ripristinare un modello di vita più umano, intesa come necessità urgente di rivedere radicalmente un dilagante stile di vita fuori dai canoni del senso civico, del buon senso, del rispetto, della salvaguardia di cui l’ambiente e la natura pagano un prezzo troppo alto.
È tempo di vivere un nuovo umanesimo. È tempo che l’uomo recuperi la dimensione razionale che, per tanti aspetti, appare sempre più spesso smarrita e avvertita non più come elemento da riabilitare e di cui riappropriarsi perché non si conosce più il disagio o la vergogna, ma spesso soltanto il disprezzo e la violenza.
Processi distruttivi provocati da diffusissimi comportamenti irresponsabili ci stanno conducendo al degrado e allo sfascio dell’ambiente (non soltanto di quello fisico e percepibile), e non ci accorgiamo che, a pagare il conto, è l’uomo.
L’obiettivo dell’accennato dialogo su un argomento cardine, qui accennato, è molteplice. Basterebbe, almeno, raggiungere quello di combattere l’indifferenza, di scuotere gli animi e di incutere maggiore e più incisiva attenzione verso l’ambiente. A cascata ne sorgeranno altri.
Insomma, va inculcato il senso del decoro e della bellezza verso ciò che ci circonda senza che sia, necessariamente, un monumento storico-artistico. A cominciare dall’ingresso all’edificio scolastico. Che non sia respingente perché imbrattato o trasandato o trascurato o degradato. Ma sia accogliente!
Ce la facciamo a salvare il salvabile? Auguriamocelo.