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Con sentimenti di compostezza, fede e devozione, la comunità di Arnesano si è stretta ieri, 5 luglio, all’arcivescovo Michele Seccia che nella chiesa matrice ha presieduto l’eucaristia per la solennità di Gesù Crocifisso, concelebrata dal parroco don Antonio Sozzo, da don Andrea Gelardo, don Emmanuel Riezzo, don Graziano Greco e Padre Maurizio Cino.

 

 

La fede profonda e la devozione al Crocifisso unisce la comunità arnesanese che sin dal lontano 1848, venera il segno più grande dell’amore di Dio a cui viene attribuita la guarigione da un morbo letale.

Toccante l’incipit dell’omelia di Seccia che mutuando le parole della prima lettura ha chiesto all’assemblea di tenere fisse nella mente le opere che il Signore compie per i suoi figli, segno di una premura che, se accompagnata dalla fede, diviene certezza costante che guida la vita di ogni credente.

Incalza Seccia: “mai come in questo tempo siamo chiamati a ricordare ciò che Dio Padre ha fatto per noi attraverso la donazione del Figlio e questo atto di riportare al cuore questo evento emerge ogni qualvolta il battezzato si segna con il segno della croce, gesto mai casuale ma sempre intriso di grande rilevanza per la vita di fede”.

Potrebbe essere riduttivo definirsi cristiani se, tuttavia, accanto alla dimensione del ricordo mancasse quella della gratitudine che trova nell’eucaristia il momento più alto e che pone ogni uomo e donna che al mistero della salvezza si accosta, nella condizione di riscoprirsi chiamato e inviato.

Ancora il presule: “non dobbiamo metterci dinanzi alla croce così come ci si mette davanti ad una qualsiasi opera ma con un atteggiamento che vuol ringraziare, con commozione, il Signore che per ognuno di noi [e qui ciascuno di noi può mettere il proprio nome] si è offerto come vittima sacrificale per farci dono della vita vera, quella dei redenti”.

Da qui la provocazione che ogni comunità sente riferita a sé ogni volta che celebra il mistero dell’amore donato: quel volto sfigurato, quel corpo le cui ferite divengono feritoie portatrici di speranza, ha l’urgenza di essere idealmente staccato da quel legno per essere riconosciuto come camminante per le strade del mondo.

Bella a tal proposito la similitudine dell’arcivescovo: “quel Crocifisso, lo vediamo nelle famiglie private del lavoro, nel povero che ci accosta per domandarci un sorriso, nell’ammalato che chiede non servizio ma amore, nel rifiutato che cerca accettazione silenziosa?”.

Ed è così che il prodigio si è ripetuto, non solo per rimembrare l’evento miracolistico, quanto nei tanti cuori che, ieri sera, da quel “uomo dei dolori che ben conosce il soffrire” ( Is 53,2 ) si sono, ancora una volta, lasciati interpellare.

 

 

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