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Campi Salentina ha commemorato ieri la solennità di San Pompilio. Il santuario dedicato allo scolopio canonizzato da Pio XI nel 1934 ha visto, come ogni anno, la presenza di tantissimi fedeli e devoti che hanno voluto rendere omaggio ad un santo che continua ad essere profondamente amato e venerato.

 

Come da tradizione, anche in questa circostanza a Campi sono giunti centinaia di pellegrini provenienti da Montecalvo Irpino, il paese in provincia di Avellino, ma diocesi di Benevento, che ha dato i natali al santo.

Culmine dei festeggiamenti, la solenne concelebrazione eucaristica che si è tenuta ieri sera, presieduta dal nostro arcivescovo, Michele Seccia. In un santuario gremito oltre la possibile capienza, monsignor Seccia, durante la sua omelia, ha voluto sottolineare la grandezza di San Pompilio, sia morale sia spirituale, rimarcando i principi che hanno ispirato la sua vita.

“Sono particolarmente contento di essere a Campi per celebrare questa festa -ha detto l’arcivescovo- ed è una gioia per me poter, ancora una volta, ricordare l’eccezionale carisma che questo padre scolopio divenuto santo ha coltivato e lasciato in eredità. Egli si è posto davvero alla sequela di Cristo Gesù, rimanendo sempre fedele a quei crismi espressi nel Vangelo. Ma a noi suoi fedeli questo non può e non deve bastare; ci dobbiamo chiedere, noi oggi, se sappiamo essere suoi imitatori, se anche noi abbiamo la volontà di essere discepoli della sua parola, di essere accanto a chi si trova in difficoltà, a confortare gli emarginati, ad essere misericordiosi con il prossimo. Questi sono gli stimoli che, ogni giorno, devono essere da sprone”.   

“E’ necessario -ha aggiunto monsignor Seccia- riscoprire le basi della nostra fede, ritornare all’essenziale, camminare con la semplicità dei bambini, per uno stile di vita più consono alla dottrina cattolica”.

E poi l’invito finale ai campioti. “Siate orgogliosi del fatto che San Pompilio riposi nella vostra città - ha concluso - e quindi dovete essere custodi vigili e gelosi della sua memoria. Fate attenzione però a non rimanere dei semplici vigilanti dei suoi resti mortali, perché vigilare vuol dire soprattutto valorizzare ciò di cui si ha la custodia, e voi avete il compito di fa rivivere continuamente gli insegnamenti che egli ci ha lasciato”.

 

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