La morte è il più grande mistero della vita. Al mistero si aggiunge il dolore ogni qual volta strappa via da questo mondo una persona cara e lo è, in modo ancora più particolare, quando la morte fa visita ad una comunità parrocchiale chiamando a sè un sacerdote che per lunghi anni ha speso, in quella famiglia cristiana, la sua esistenza.
Succede così che la morte diventi un evento che supera l’intimismo affettivo di pochi tra familiari e amici e si trasformi, improvvisamente e con straordinaria rapidità, in un momento di riflessione collettiva, una pausa di ricomprensione dei valori e delle ragioni nascoste nella vita di un sacerdote, quasi un ritiro spirituale collettivo.
È l’esperienza che Campi Salentina sta vivendo in questi giorni in seguito alla morte di don Mario Versienti. Alla tristezza e al dolore della scomparsa di una persona conosciuta e amata da tutti, si unisce la consapevolezza che don Mario appartenesse a tutti e che ogni persona di Campi avesse con sé, nell’album dei ricordi, una foto sbiadita, una frase di augurio, un ricordo incancellabile.
La morte stessa di don Mario è simile ad una fotografia della sua vita, un’istantanea che racconta un’esistenza donata al Signore, un’immagine viva che ogni fedele si porterà dentro di sé per sempre. Don Mario ha accompagnato un’infinità di persone nei percorsi straordinari ed entusiasmanti dei sacramenti: ha celebrato decine e decine di battesimi, è stato presente come ministro nelle celebrazioni dei matrimoni, ha accompagnato i defunti nell’ultimo percorso di vita, è entrato nelle case delle famiglie come amico di tutti, commensale, ospite d’onore, fratello saggio e buono.
Gli ultimi anni della sua vita, però, sono stati molto complessi. Difficili. Direi: quasi drammatici. Io stesso, come parroco negli ultimi anni della sua vita, ho conosciuto don Mario nella sua vulnerabilità fisica e fragilità pastorale. Grazie a don Mario però, ho compreso che la vita di un sacerdote, proprio nel momento supremo della morte, attesti un “oltre” rispetto all’esperienza di una persona normale. Oserei dire che proprio nell’incontro ultimo con Dio avviene una totale e completa consacrazione con l’Eterno.
Don Mario era molto di più rispetto a ciò che a noi sembrava essere: non era solo buono, mite, paziente, fedele era anche un uomo che viveva con Dio una quotidiana e intensa “lotta” spirituale; una vera e propria battaglia tanto simile a quella di Giacobbe con l’angelo descritta nel libro della Genesi (Gen 32, 23-33); un’inquietudine che don Mario tradiva citando sempre e in ogni sua omelia e in modo costante, Sant’Agostino.
Caro don Mario, ora che il mistero della vita e della morte ti è stato svelato e certamente avrai acquietato la tua sete di verità, riposa in pace e prega per noi, ancora in cammino lungo i sentieri tortuosi della vita.
*arciprete di Campi Salentina
Foto di Oronzo Russo