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È tornato in cielo Giovanni Invitto, docente e già preside di facoltà dell’Università del Salento. I funerali, presieduti da mons. Seccia, si svolgeranno domattina, 4 agosto, alle 11 nella chiesa cattedrale. Portalecce ospita un breve ricordo a firma di Ettore Bambi.

 

 

 

Giovanni Invitto richiama per i più il simbolo e la storia dell’Ulivo nel Salento.

Per chi fosse troppo giovane, precisiamo che si trattò del più affascinante esperimento di aggregazione politica progressista e democratica non dipendente dai partiti tradizionali di sinistra. Ovvero, un modello sovrapartito, rispettoso delle bacheche storiche di tutti ma capace di parlare a gruppi e movimenti lontani dalle militanze tradizionali.

Di questa struttura complessa che riuscì per lungo tempo ad arginare il vento berlusconiano, Giovanni fu referente e responsabile nel nostro territorio, legato profondamente a Romano Prodi e al gruppo fondante dell’Ulivo. Pur proveniendo dal mondo intellettuale ed universitario, questo approccio di Giovanni ad una politica “diversa” non sembrò fuori luogo, proprio per quei legami culturali con la scuola di Bologna, Luigi Pedrazzi, Piero Scoppola, Achille Ardigò, interpreti di una rivisitazione intrigante e pervasiva della dottrina sociale cristiana, erede del dossettismo, forte della vicinanza ideologica alle Edizioni del Mulino, capace di scendere in campo già negli anni ’70 a favore della libertà di voto ai referendum su divorzio e aborto.

Da ulivista, Giovanni fece una temporanea esperienza amministrativa come vicesindaco di Stefano Salvemini a Lecce, nel corso della quale accettò nel 1996 di candidarsi alle elezioni politiche in una fase storica in cui in Puglia la destra era certamente prevalente, e non riuscì a sconfiggere Adriana Poli Bortone.

Nei tempi successivi, il suo impegno politico diminuì sino a quando lui non recuperò appieno ruolo e funzioni di intellettuale e filosofo.

Ma Giovanni Invitto va ricordato per l’altra sua dimensione, non disgiunta da quella politica e culturale, ovvero per il suo essere uomo del rinnovamento della Chiesa locale, fautore di un ruolo ben attivo e primario del laicato, che guarda al mondo con il respiro di chi non può stare nei recinti della dottrina, perché la “Chiesa è fuori”.

Modello, questo, incoraggiato, anzi ideato da Michele Mincuzzi, vescovo della riconciliazione della Chiesa con il mondo, scevro da rappresentazioni di prassi, credente nei valori dell’uomo. Attorno a quell’episcopato, in una stagione indimenticabile della Chiesa di Lecce, un consiglio dei laici assortito e militante assumeva con Mincuzzi le decisioni strategiche di pastorale sociale, vero esempio di Chiesa partecipata. Oltre a Giovanni, erano in quel gruppo Mario Signore, Reno Sacquegna, Fulvio De Giorgi, Lucio Caprioli, Mariarita Verardo, Nicola Paparella, Lilia Fiorillo, Franco Gustapane, Alessandro Nocco, Vinicio Russo, il sottoscritto e molti altri. Con due “mediatori spirituali” di tutto rispetto: don Donato Negro e don Sandro Rotino.

Credo che ci siano tutte le condizioni per approfondire e studiare un ventennio in cui la Chiesa di Lecce, e tutto il movimento del cattolicesimo democratico, siano state prassi esemplare.

 

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