La conversazione "Smartphone e social: l'abdicazione dei genitori" che si è tenuta presso la chiesa Rettoriale "S. Maria delle Grazie" di Merine e nel quale sono intervenute, tra gli altri, Giuseppina Capozzi e Assunta Corsini, era stata organizzata dall'oratorio "S. Giovanni Bosco" di Merine nel programma dei festeggiamenti in onore del Santo dei giovani.
Questo evento nasce da una sinergia tra famiglia, scuola e oratorio per cercare di affrontare insieme una criticità dei nostri giorni.
Don Luca Nestola, parroco di Merine, ha dato inizio al dibattito ricordando un piccolo aneddoto significativo della vita di don Bosco, il quale un giorno recandosi dal barbiere incontra un ragazzino di nome Michele, 11 anni e orfano di padre. Il giovane lavora lì e ha l'incarico di insaponare la pelle del viso prima che il barbiere rada. Dopo le presentazioni, Michele procede a svolgere quello che è abituato a fare e insapona la barba di don Bosco, il quale, ad un certo punto, gli dice "Michele, radimi pure la barba!". Il barbiere si oppone alla richiesta di don Bosco affermando contrariato che non sia quello il suo compito. Giovanni, allora, gli risponde "Si, ma prima o poi dovrà pure iniziare... Fammi fare la barba da Michele!". Il ragazzino, allora, inizia a radergli la barba, mentre la mano gli trema e gli procura anche qualche taglietto. Alla fine don Bosco lo ringrazia, si complimenta con lui e lo invita ad andare a trovarlo. Un mese dopo, Giovanni torna da Michele. Il ragazzino piange e si dispera: la madre è morta e il barbiere lo ha licenziato. A quel punto don Bosco lo prende con sé e lo accoglie in casa sua.
Michele è stato in oratorio 70 anni e quando parlava di don Bosco si commuoveva perché diceva "Mi ha voluto bene". Secondo don Luca " il rasoio messo in mano al bambino significa dare fiducia e voler bene. A noi non spetta il compito di togliere o proibire gli smartphone e i social network ai nostri ragazzi. Si tratta di dare loro fiducia, ma anche di amarli. E amarli vuol dire informarsi, capire cosa hanno in mano e cercare di aiutarli affinché questi strumenti utili, li educhino davvero!".
L'adulto, infatti, deve essere responsabile del processo di crescita dei figli. Secondo Giuseppina Capozzi, docente di comunicazione presso la Scuola diocesana di formazione teologica di Lecce, "per un bambino o un adolescente internet, i videogiochi, la realtà virtuale, le reti social o la telefonia mobile sono diventati parte normale della sua esistenza ". La vera rivoluzione, però, non è tanto nelle nuove tecnologie, quanto nei nuovi comportamenti che abbiamo adottato. Il nuovo modello di relazione imposto dal web (relazione interattiva) è orizzontale e pone sullo stesso piano ogni idea ed ogni opinione, pensando che abbiano tutte lo stesso valore.
"Sicuramente i social network - afferma la Capozzi - costituiscono un'eccezionale opportunità di informazione, svago, comunicazione [...], ma uno dei motivi più frequenti di discussione dei ragazzi con i loro genitori consiste nell'utilizzo eccessivo degli smartphone e della rete". Ciò che i ragazzi sembrano esprimere è proprio il bisogno di rimanere sempre in contatto con i propri amici. Però, un abuso di questi strumenti (nomofobia) può provocare non solo enormi divari tra le persone , ma può anche portarle a chiudersi in sé stesse e a sviluppare insicurezze relazionali.
"I genitori di oggi - continua - sono 'genitori liquidi'. Copiano i propri figli e spesso sono 'connessi' quanto loro. Sono genitori affettuosi, preoccupati per i loro figli, accudenti, ma hanno rinunciato ad educare". Essi hanno, in tal senso, cessato di trasmettere visioni della vita, significato dei valori, riflessioni di senso e non hanno fatto altro che provocare un profondo stato di disorientamento nel figlio silenziando i suoi desideri prima ancora ch'egli possa manifestarli.
I genitori, al contrario, dovrebbero riflettere sulle scelte circa l'acquisto dello smartphone e sulle modalità adeguate per gestirne l'utilizzo. L'unica strategia possibile è la negoziazione: interagire con il proprio figlio e trovare una soluzione condivisa, aiutandolo a sviluppare il senso del limite e l'abilità di autoregolazione interna, e a comprendere la reale differenza tra desiderio e e bisogno.
Assunta Corsini, dirigente dell'Istituto Comprensivo "C. De Giorgi" di Lizzanello con Merine e presidente provinciale del Forum delle Famiglie, ha voluto iniziare il suo intervento coinvolgendo i genitori presenti al dibattito, in una piccola attività che consisteva nel cercare di sintetizzare in un piccolo post-it quelle che sono le paure e i timori che più di ogni cosa preoccupano i genitori circa le nuove tecnologie che si evolvono sempre di più (in relazione ai propri figli).
I pericoli che i ragazzi possono incorrere sono considerati dai genitori come veri e propri rischi sul piano psicologico e pedagogico: assenza di comunicazione e socializzazione, alienazione e perdità di identità, costumi e 'vita sana' (predominanza di uno stile di vita rispetto ad altre modalità di relazione ed espressione), ozietà, pigrizia, smarrimento...
Secondo la dirigente "occorre saper ascoltare, cercare di comprendere in maniera empatica ed entrare nelle prospettive dell'altro e, infine, trovare una soluzione educante." Bisogna essere semplici e naturali, evitando la forma di comunicazione autoritaria che oggi non attecchisce più, ma anche quella passiva (che significa sviluppare quasi un senso di inferiorità rispetto al proprio figlio o mettersi alla pari). I ragazzi devono comprendere che c'è un'alleanza educativa tra famiglia, scuola e oratorio che concorrono alla loro crescita e alla loro formazione. "La negoziazione - afferma Assunta Corsini - si configura come la parola chiave di tutti i processi educativi". I genitori devono assumere una forma di comunicazione di tipo assertivo e devono porsi sempre in termini di partecipazione, impegno, responsabilità e sensibilità nel trattare le questioni personali e generali che riguardano i propri figli.
Gli educatori devono prima di tutto amare i ragazzi. Se i ragazzi si sentono amati, imparano e rendono molto di più. Ma amare non significa sempre dire di sì.