La Cattedrale era gremita come si addice ad una grande circostanza. Ieri, 6 novembre, anniversario della dedicazione della Chiesa maior et mater della diocesi, si è scritta una bella pagina di storia per la comunità ecclesiale di Lecce.
In un tempio vestito a festa per il suo 267° compleanno, l'arcivescovo Michele Seccia ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica durante la quale ha presentato alla comunità diocesana l'arcivescovo coadiutore nella persona di mons. Angelo Raffaele Panzetta.
Al rito, trasmesso in diretta da Portalecce Tv e da Tele Dehon (GUARDA) oltre al coadiutore hanno preso parte altri presuli tra cui l'arcivescovo emerito di Lecce mons. Domenico D'Ambrosio, l'arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della Conferenza episcopale pugliese mons. Giuseppe Satriano, l'arcivescovo
metropolita di Taranto, mons. Ciro Miniero, l'arcivescovo emerito di Taranto, mons. Filippo Santoro, l'arcivescovo di Brindisi-Ostuni, mons. Giovanni Intini, l'arcivescovo di Otranto, mons. Francesco Neri, l'arcivescovo mons. Luigi Pezzuto, già nunzio apostolico e il vescovo emerito di Rrëshen, mons. Cristoforo Palmieri.
Il servizio liturgico è stato curato dai seminaristi della diocesi guidati da don Mattia Murra. I canti sono stati eseguiti dal coro della cattedrale diretto dal maestro Tonio Calabrese con all'organo il maestro Carlo Chirizzi.
È stato Seccia a spiegare l'importanza della celebrazione che è diventata lode e ringraziamento al Signore per i prodigi operati nel corso dei secoli attraverso quanti, in quel tempio sacro, hanno celebrato, lodato e benedetto il tre volte Santo ma è stata soprattutto l'abbraccio di benvenuto a colui che, dal 28 agosto scorso (LEGGI) e per mandato del Papa, affianca e sostiene il pastore leccese nel governo della diocesi: l'arcivescovo Angelo Raffaele.
Così Seccia: " Celebriamo il 267° anniversario della Dedicazione della chiesa madre della nostra arcidiocesi. E siamo qui anche per ringraziare il Sommo Sacerdote, misericordioso e fedele, per il dono di un nuovo collaboratore della vostra gioia, di un testimone della grazia del Vangelo. Un saluto grato arrivi al Santo Padre, il Papa Francesco, - al quale rinnovo con gioia la mia obbedienza - per avermi provveduto di un valido sostegno nell’esercizio del mio ministero a favore di questa mia amata Chiesa di Lecce".
Dopo la lettura, da parte del cancelliere arcivescovile don Vincenzo Martella, della Bolla pontificia già esibita al collegio di consultori il 26 settembre scorso (LEGGI) e dopo la liturgia della Parola è toccato all'arcivescovo Panzetta prendere per la prima volta la parola e pronunciare l'omelia davanti al popolo che è chiamato a servire.
"Quando ho saputo che avrei dovuto tenere il pensiero omiletico - ha detto Panzetta - ho pensato di lasciare il primato alla Parola che è decisiva nella nostra e nella mia vita e, solo dopo, di aprirvi il cuore per mettervi a parte dei sentimenti che mi abitano in quest'ora di grazia”.
Facendo riecheggiare la prima lettura tratta dal libro del profeta Ezechiele, l'arcivescovo coadiutore ha posto l'accento sulla gloria di Dio che torna ad abitare presso un popolo, quello di Israele, a causa della cui condotta infedele essa s'era allontanata fino a scomparire.
Per Panzetta, Dio è la presenza che non vive solo nei templi di pietra ma che desidera trovare dimora in mezzo agli uomini.
Ecco il coadiutore: "Fratelli e sorelle mi piace pensare che quel Dio che abita questo nostro splendido tempio abbia un bisogno ulteriore decisivo: abitare tra noi, trovare casa nella vita di noi preti, consacrati, religiosi, famiglie, catechisti. Le nostre storie sono il santuario privilegiato in cui Dio vuole entrare. Dio ha un sogno: abitare la cattedrale che è la vita della gente, la storia delle persone".
Perché questo possa accadere, allora, Panzetta ha fatto risaltare dalla seconda lettura tratta dalla prima lettera dell'apostolo Paolo ai Corinti, il segreto: avere la consapevolezza di essere tempio di Dio. Un presbitero, un laico, un consacrato, una famiglia che non mette le proprie fondamenta in Cristo Gesù è destinato a svuotarsi e a vivere una appartenenza superficiale.
Ancora Panzetta: "Paolo, cari fratelli e sorelle, ci porta alla nostra identità e ci dice che l'economia del primo tempio, quello di Israele, era abbondantemente superata; ora perché possiamo diventare tempio, dimora del Signore, occorre essere fondati su di Lui, occorre che Lui sia il nostro centro, il senso della nostra vita, lo scopo del nostro esistere".
Questo messaggio, dunque, si comprende solo alla luce della pagina evangelica giovannea secondo la quale Cristo parla di sé definendosi tempio non fatto di pietra ma luogo di incontro e di unità con Dio.
Ancora l'arcivescovo coadiutore: "Accogliere Gesù come tempio vuol dire guardare a ciò che il suo esser tale significa; il tempio è il luogo della collettività, dell'incontro, dello stare insieme. Mi piace pensare che il Signore abbia bisogno di me, di noi per continuare ad incontrare, a passare, a benedire, a sanare".
Dalla Parola meditata, al cuore aperto: è ciò che ha fatto mons. Panzetta facendo quasi un partage vocazionale, una condivisione della sua storia di cristiano, di prete, di vescovo.
Ha riconosciuto, l’arcivescovo coadiutore, che il suo venire a Lecce non è frutto di meri calcoli umani né di promozioni ministeriali quanto, invece, opera del Signore.
Ecco il presule: "Io sono fermamente convinto che ciò che si è realizzato è solo opera del Signore; è Lui che mi ha mandato qui, e Lui che mi chiede di collaborare, insieme al caro fratello Michele (Seccia ndr), per il bene di questa nostra Chiesa: lo sento in maniera nitida e lo percepisco come un passaggio decisivo per la mia esistenza".
Un progetto simile è perseguibile solo curando la propria relazione con Cristo, una relazione in grado di dare forma nuova alla esistenza del chiamato, in questo caso del vescovo.
Ancora mons. Panzetta: "un secondo aspetto è la nuzialità del rapporto vescovo-Cristo che già dai tempi del mio servizio episcopale a Crotone-Santa Severina ho intravisto come essenziale. Ora che vengo inviato ad una comunità più grande sento che devo aumentare il mio stare con Lui perché solo pregando si assume la forma di Cristo e si dona la forma di Cristo a ciò che si vive".
L'ultimo accento di Panzetta è stato sul suo essere padre per i presbiteri suoi collaboratori nel ministero, una paternità che deve avvenire in uno stile di sincerità e di schiettezza, requisiti indispensabili per crescere nella stima e nella fraternità.
"Desidero essere un vescovo che sta con i preti - ha concluso Panzetta - e perciò ho da chiedervi un regalo: siate sempre leali con me, sinceri; siate onesti e trasparenti perché questo ci fa diventare capaci di relazioni sane e autentiche".
Terminata l'omelia con l'affidamento a Maria, la messa è proseguita nel modo consueto; prima della benedizione finale don Vito Caputo, parroco della cattedrale e vicario episcopale per gli affari generali ha rivolto ai presenti un accorato ringraziamento (LEGGI) preludio alla continuazione della festa nel salone dell'episodio dove, tra buon cibo e la torta di rito, è calato il sipario su una giornata che, la Provvidenza ha saputo rendere storica ed emozionante perché dono del Pastore dei pastori che provvede sempre ai bisogni della sua Chiesa.
Racconto per immagini di Arturo Caprioli.