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La comunità ecclesiale di Lecce, dallo scorso 28 agosto vive una nuova stagione della sua storia, antica e sempre nuova.

 

 

Papa Francesco le ha fatto dono di un arcivescovo coadiutore nella persona di mons. Angelo Raffaele Panzetta già pastore della Chiesa di Crotone-Santa Severina il quale affiancherà, in veste di vicario generale, l’arcivescovo Michele Seccia collaborando con lui alla guida della comunità diocesana per poi subentrargli al termine del mandato episcopale.

Lo scorso 26 settembre mons. Panzetta ha dato canonicamente inizio al suo ministero esibendo la Lettera apostolica di nomina al Collegio dei consultori (LEGGI): un atto canonico, certamente, ma di grande valenza teologico-spirituale per gli spunti che lo stesso documento serba in sé tanto per i pastori quanto per il gregge loro affidato.

Già dalle prime battute dello scritto si evince lo spirito con cui la Chiesa compie un atto grave per la sua importanza quale è la nomina e l’invio di un vescovo ad una Chiesa particolare: la carità, quella che non accampa meriti, che non si fa notare ma che ha alla base l’amore per Cristo e per la sua Sposa.

Così il Santo Padre: “Quando parliamo con parole buone, non grossolane e da esse ricaviamo profitto, il popolo si rallegra molto, considerando con gioia quella carità che non si vanta, non si gonfia, non è ambiziosa e ricordando che, se qualcuno parla la lingua degli uomini e degli angeli ma non ha la carità è come un bronzo che risuona e come un cembalo che tintinna. Per questo […] mentre svolgiamo il Nostro lavoro quotidiano sempre in obbedienza alla divina volontà, rivolgiamo con paterna benevolenza la nostra attenzione alle necessità della dilettissima comunità ecclesiale di Lecce”.

Chi è dunque il vescovo? Non un funzionario, né un uomo di governo o un facitore di cose sacre; egli è, nella comunità diocesana, segno e sacramento dell’amore di Cristo per il suo popolo in obbedienza al comando del Signore: “vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger 3,15).

Un secondo aspetto che la bolla di nomina mette in luce è la sollecitudine del pastore per il popolo.

Ecco il Pontefice: “[…]il venerabile fratello, Michele Seccia, al fine di procurare un maggiore e più copioso bene spirituale al gregge a lui affidato, ha chiesto fortemente di poter godere di un aiuto per il governo della vita diocesana. Perciò, abbiamo pensato a te, venerabile fratello, di cui abbiamo conosciuto nel servizio reso presso l’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina, le virtù e la capacità di governo che ti hanno reso idoneo ad assumere questo nuovo ufficio”.

La richiesta alla Sede Apostolica di un collaboratore al ministero episcopale è da inquadrare nell’ottica di un contributo spirituale maggiore da offrire alla comunità e che pertanto mette i due presuli nella condizione di poter vivere una corresponsabilità e una collegialità, in poche parole, una bella ed originale esperienza di comunione episcopale che dovrebbero avere una ricaduta pastorale notevole finanche sui presbiteri, primi collaboratori al ministero del vescovo.

Nasce, allora, da qui la raccomandazione amorevole che il Papa riserva al vescovo Angelo Raffaele chiamato ad intessere con mons. Seccia un legame dettato non solo dalla semplice fraternità sacramentale che scaturisce dall’ordinazione episcopale quanto da un bene e da un affetto da vivere nel rispetto, nella riverenza e nella cura reciproca.

Prosegue la bolla: “Mentre ti incoraggiamo ad esercitare ogni tuo sforzo in accordo con il pastore di questa Chiesa al quale manifesterai il dovere della riverenza, della benevolenza e della sollecitudine e a lui sottomesso nella carità, preghiamo Dio perché faccia in modo che in te vi sia una invidiabile intelligenza affinché le facoltà superiori dell'uomo non siano vinte da quelle inferiori e si raggiunga la giusta pace dove arde la fede, si rafforza la speranza, si accende la carità”.

L’arcivescovo Panzetta, si inserisce in un solco nel quale la comunità diocesana di Lecce guidata con paterna bontà dall’arcivescovo Seccia ha cercato di vivere la gioia del vangelo, testimoniando la bellezza di un’adesione totale a Cristo e ai fratelli. Ecco perché è prioritario che, come si evince dalla qualifica del ministero affidatogli, l’arcivescovo sia coadiutore, che collabori in unità di intenti e di cuore alla missione pastorale alla cui base vi è l’amoris officium (capacità di amare il popolo in modo gratuito) come insegna Sant’Agostino. 

Il tutto, naturalmente, con quella maturità umana e spirituale di fondo che si vive quando si manifesta l’obbedienza gratuita.

L’auspicio? È ricavabile dalle ultime battute della Bolla. La Chiesa diocesana augura ai suoi due pastori di poter concretamente sperimentare che “non vi è nulla di più giusto di ciò che Dio comanda all'anima”, toccando con mano che “il progresso dei fedeli sia gioia eterna dei pastori” (orazione colletta memoria di San Gregorio Magno).

 

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