Sono trascorsi nove anni dall’Accordo di Parigi nel quale si stabilì che l’aumento medio della temperatura mondiale si sarebbe dovuto contenere ben oltre i 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, puntando a non superare 1,5 gradi.
A giorni a Baku si terrà la Cop 29: la ventinovesima conferenza dell’Onu sul clima, che ci vede immersi in tragedie ambientali sempre più frequenti, come l’alluvione, violentissima, che ha colpito la comunità di Valencia in Spagna.
L’incertezza globale del momento, con due drammatiche guerre in corso, senza nessun esito all’orizzonte e le elezioni negli Usa, dall’orizzonte più confuso della storia, sembrano mandare dietro le quinte il problema dei cambiamenti climatici.
Eppure, la crisi climatica non è più un problema del futuro: ci siamo immersi dentro fino al collo, anche se ci sembra inafferrabile e ci stiamo abituando a vedere come ordinaria amministrazione, quelle che una volta erano alluvioni epocali.
La campagna elettorale in corso negli Usa, ci pone, ancora una volta, di fronte ad un enigma storico: si può correre il rischio di una crisi della crescita economica a seguito dell’attivazione di misure di mitigazione?
Come si può coniugare la crisi climatica con la vita reale e quotidiana delle persone, assillate dai problemi della sopravvivenza e della crescita?
Se la crisi climatica è interconnessa con le storie dei singoli, emerge una dimensione di una complessità che è sempre più difficile interpretare.
Nonostante tutto, sopravvive una cesura tra la realtà presente ed un fenomeno che appare incontrollabile.
Noi veniamo da un tranquillizzante passato, per cui ci sembra impossibile immaginare un futuro terribile e ci stiamo abituando a tutti i fenomeni climatici: almeno finché coinvolgono gli altri!
In realtà la crisi climatica è un fenomeno globale, del quale tutti siamo chiamati a pagare i molteplici prezzi.
Siamo forse alla vigilia di un nuovo “nomadismo climatico”, che darà origine a masse sempre più numerose di migranti climatici.
Secondo gli esperti, già oggi e nel prossimo futuro, molte terre antropizzate sembrano destinate ad essere invase dal mare, perché sarà il cambiamento climatico a stabilire le regole del gioco.
La comunità occidentale è convinta di vivere sulla “Terraferma”, ma sempre più scienziati parlano di un “pianeta d’acqua”, come sostiene J. Rifkin.
La scoperta recente di fonti di acqua dolce sotto la superfice marina (anche nel nord Adriatico), per contro, ci dà motivi di speranza di fronte ai rischi di siccità che, a causa delle alte temperature, stanno caratterizzando i Paesi che si affacciano sul mediterraneo.
Per questi motivi, il futuro del nostro pianeta, sembra sempre più condizionato dal “problema acqua”: contenendo i danni dei fenomeni estremi, anche con opere di contenimento delle acque piovane e con il trasporto dalle zone più piovose a quelle più siccitose, da un lato e con l’individuazione di acque dolci sul fondo dei mari, dall’altro.
Comunque la si metta, l’acqua deciderà il nostro futuro!