In vista dell’Europeo, il ct azzurro, Luciano Spalletti, ha convocato a Coverciano il 3 giugno cinque grandi numeri 10 del passato, cinque campioni, cinque calciatori in grado di far gioire generazioni di tifosi e schiere di raffinati esteti del pallone, a colpi di prodezze e reti.
Gianni Rivera, Giancarlo Antonioni, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero e Francesco Totti. Nomi scolpiti nell’immaginario collettivo, grazie al senso di appartenenza alla maglia mostrato e alla cultura sportiva incarnata. Un’iniziativa ad alto coefficiente emotivo, una iconica mozione degli affetti, un incontro storico. Classe, fantasia, genio. E ancora. Carisma, leadership, esperienza. Cinque voci a servizio degli azzurri sul campo; cinque volti a favore di flash, telecamere e taccuini fuori.
Del resto, quando si maneggiano i simboli, la forma diventa sostanza. Tuttavia, questo singolare raduno racconta un vuoto, sottolinea un’assenza, denuncia la sparizione dal calcio contemporaneo del numero 10. Incatenato in tatticismi esasperati, insidiato da falsi centravanti ed estrosi esterni, preferito a implacabili ed erculei goleador. Senza di esso, ha scritto Ernesto Ferrero, il gioco diventa più povero, lo spettacolo minore, le partite dall’esito scontato.
Da sempre fertile vivaio di fantasisti adamantini, tanto da dividere in fazioni lo Stivale e costringere gli allenatori ad arrovellarsi in ballottaggi e staffette, l’Italia del calcio si scopre sprovvista di numeri 10 con la stoffa del campione. Ovvero capaci di coniugare la classe sopraffina alla caparbietà agonistica, la potenza fisica alla pulizia del tocco di palla.
La semplice presenza di Antognoni, Rivera, Baggio, Del Piero e Totti evoca negli appassionati dribbling ubriacanti, assist smarcanti convertiti in rete, micidiali colpi balistici e punizioni michelangiolesche. Le storie dei “fantastici cinque” associate ai colori azzurri fanno affiorare ricordi sfavillanti, vittorie trionfali, partite epiche. Ma anche sconfitte cocenti, pesanti errori, terribili infortuni.
Il passato non può tornare, vero. Sa insegnare, però. I cinque numeri 10 hanno dispensato ai ragazzi di Spalletti alcuni consigli: a viso aperto, senza supponenza. Baggio ha indicato il pericolo peggiore, la paura: “Il nemico più grande è la responsabilità quando si indossa questa maglia: o la affrontiamo o perdiamo. Abbiate gioia di dare tutto quello che avete dentro”. Del Piero, dal canto suo, ha voluto infondere il coraggio a vivere la bellezza schiusa da ogni sfida: “È vero, c’è pressione, quando affronti competizioni simili, ma voi avete una grandissima opportunità, che poi ricorderete col sorriso: vi confronterete con i più forti e non c’è niente di più bello che la sfida”. Rivera, quindi, ha ricordato l’impegno che comporta rappresentare una nazione e rammentato, metaforicamente, che il calcio di inizio si batte in avanti. Antognoni ha ripercorso i sacrifici compiuti dalle giovanili, invitando i giocatori di Spalletti “a scendere in campo tranquilli, sereni di essersi preparati al meglio”. Sulla stessa falsariga l’augurio lanciato da Totti: per vincere è essenziale anche divertirsi, ricordarsi che è un gioco.
È stata una giornata diversa, insomma. Niente polemiche ed eccessi. Neppure schemi e tattiche. Serviva un messaggio dal respiro educativo, dal risvolto valoriale. Responsabilità e coraggio, dedizione e misura, l’onore nella sconfitta e l’umiltà nella vittoria. A partire dai campetti dell’oratorio. Perché nel calcio, nello sport (e di riflesso nella vita) esistono molti modi per essere dei veri numeri 10.