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Entrare in una casa vuol dire entrare in una famiglia, conoscerne ritmi e abitudini, sogni e speranze. Da collaboratrice, sono entrata in questa Casa quest'anno, quando il caldo asfissiante dell'estate salentina non sembrava darci tregua.

 

 

 

Sono entrata e mi hanno accolta sorrisi luminosi, risate contagiose e sogni tenaci. In poco più di due mesi, ho visto una Casa sempre aperta a tutti e a ciascuno: aperta ai poveri sì, ma non solo. Un via vai di gruppi, soprattutto giovanili, sembrava ricorrere a questa Casa per dissetare la propria sete di vita. E tutti venivano accolti con gli stessi sorrisi, gli stessi sogni e le stesse risate che hanno accolto me. Nessuno si è mai risparmiato: né gli operatori e nemmeno gli ospiti (o ex ospiti), che quando venivano a sapere dell'arrivo di qualche gruppo, subito si preparavano ad accoglierli e a raccontare la loro esperienza, maestra di vita per chiunque ascoltasse.

È una Casa aperta a tutti e pronta a tutto. Ho visto scegliere di lottare per il bene, anche quando sembrava lontano da raggiungere. Ho visto sogni avverarsi, come quello dell'Accademia della Carità. Ho visto vittorie conquistate dopo tante lotte burocratiche. Ho visto crescere e maturare iniziative con un solo obiettivo: il bene.

Sono entrata in questa Casa e ho trovato una grande famiglia, il cui ritmo è l'amore; le abitudini non lasciano spazio a vizi, ma solo a virtù; si sogna insieme e si spera per l'altro.

Sono entrata nella Casa di chi accoglie, di chi sorride, di chi genera, di chi lotta, di chi ama: la Casa della Carità.

 

 

 

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