“Candor Lucis Aeternae”, splendore della Luce eterna, di Dio è un versetto biblico presente nel libro della Sapienza (Sap. 7,26) ed è anche il titolo della LETTERA APOSTOLICA con la quale Papa Francesco rende omaggio al sommo poeta Dante Alighieri nel settimo centenario della morte.
La Sapienza è il Verbo di Dio, la Parola che s’incarna ed entra nella storia: Gesù Cristo. Siamo in vista del Natale e il Mistero dell’Incarnazione è molto presente nella Divina Commedia, soprattutto nel XXXIII Cantico del Paradiso quando San Bernardo guardando alla Vergine Madre ricorda che “nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’eterna pace così è germinato questo fiore”. Non a caso Papa Francesco ha scelto proprio il 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore per pubblicare questa sua Lettera Apostolica.
Con questa Lettera Apostolica, scrive il Papa: “Desidero unire la mia voce a quella dei miei predecessori che hanno celebrato e onorato il Poeta, particolarmente in occasione degli anniversari della nascita o della morte, così da proporlo nuovamente all’attenzione della Chiesa, all’universalità dei fedeli, agli studiosi di letteratura, ai teologi, agli artisti”. Francesco invita a leggere la Divina Commedia proponendola come un “itinerario spirituale, un vero pellegrinaggio sia personale che comunitario, ecclesiale e sociale”.
La Divina Commedia rappresenta il paradigma, scrive Papa Francesco, di ogni autentico viaggio in cui l’umanità è chiamata a lasciare quella che Dante chiama “l’aiuola che ci fa tanto feroci”, per giungere ad una nuova condizione, segnata dall’armonia, dalla pace, dalla felicità, indicando il Sommo Poeta ai contemporanei, proponendolo come “profeta di speranza, annunciatore della possibilità di riscatto, della liberazione, del cambiamento di ogni uomo e donna dell’umanità”. Papa Francesco, inoltre, evidenzia nell’opera dantesca quei valori e quelle radici cristiane della nostra Europa. Valori che vale la pena riproporre a tutti, soprattutto ai giovani.
La Divina Commedia è stata scritta da Dante nei primi anni del 1300. Il ‘300 fiorentino è un’epoca florida dal punto di vista demografico, artistico ed economico. Era uno dei comuni più importanti d’Italia. Era anche l’epoca della lotta tra i comuni per l’autonomia dal potere papale o imperiale. Si contendevano il potere Guelfi e Ghibellini. Dante, inserendosi nella corporazione dei Medici, diviene tra gli esponenti più importanti nella vita pubblica inserendosi tra i cinque priori che governavano la città. Il suo pensiero di stile francescano, di un ideale di Chiesa povera, lo pone in contrasto con la Curia Romana. Dopo l’espulsione dei Bianchi da Firenze operata da Bonifacio VIII, Dante viene condannato ingiustamente all’esilio, costretto a vivere gli ultimi anni della sua vita lontano dalla sua città amata. Anni che tuttavia saranno vissuti in pienezza, durante i quali riuscirà a trasformare l’esilio in un pellegrinaggio verso la beatitudine eterna.
È in questo contesto, infatti, che inizia a scrivere la Divina Commedia. Un’opera straordinaria nella quale narra in stile poetico il viaggio anima compiuto nei tre regni dell’aldilà per salvare la propria anima. Accompagnato da Virgilio nell’inferno e nel purgatorio e, nel Paradiso, da Beatrice e da San Bernardo che lo affida all’intercessione della Beata Vergine Maria. Un vero viaggio di purificazione iniziato nello smarrimento della “selva oscura” per poi approdare nella beatitudine eterna. L’itinerario di Dante illustrato nella Divina Commedia è il cammino del desiderio, del bisogno profondo interiore di cambiare vita. Un cammino realistico e non illusorio perché la misericordia di Dio dona a tutti la possibilità di cambiare e di convertirsi. Significativi a tal proposito sono alcuni episodi raccontati nella Divina Commedia i quali rivelano come la libertà dell’uomo può essere capace di scegliere quale via perseguire.
Nel cammino della Divina Commedia, Dante ribadisce sempre questa verità: l’uomo porta dentro di sé il desiderio di Dio e non trova pace finché a Dio non ritorna. Non è da sottovalutare il fatto che Dante fosse un grande conoscitore della Sacra Scrittura e uomo di grande fede e amore per Cristo e la sua Chiesa.
Al termine di questa riflessione scaturita dalla lettura della Lettera Apostolica “Candor Lucis Aeternae”, ci si può chiedere:
“Cosa può dirci oggi la Divina Commedia?”. All’uomo distratto, sfiduciato e indifferente, ripiegato sui propri interessi, all’uomo, possono ricordare anzitutto quale sia il fine ed il senso dell’esistenza: la beatitudine eterna, lo stare con Dio! Che non esiste aiuola da cui non sia possibile poter uscire come uomini nuovi, e che la vita non è in balìa di eventi ma è frutto di libere scelte. L’attualità della Divina Commedia forse è data dal fatto che racconta il viaggio del desiderio umano di felicità, messo da Dio nel cuore da Dio nel cuore dell’uomo. Ed è per questo, forse, che a quest’opera si aggiunge l’aggettivo “divina”, perché questo desiderio di felicità è segno e scintilla della vita divina. La grandezza di Dante consiste nell’aver saputo trasformare il suo esilio in un pellegrinaggio, accompagnato dalla fede ma soprattutto dalla ragione desiderosa di scoprire la verità per quella sete d’infinito amore che inquieta il cuore. È un invito all’uomo che, nei diversi esili del cuore, è chiamato a scoprirsi pellegrino in ricerca, accompagnato da quell’amore misericordioso che sa accogliere nelle sue grandi braccia ogni uomo che a questo Padre misericordioso volge il suo sguardo.
In questo tempo abitato da ombre, Dante si propone come profeta di speranza e incoraggia a camminare verso la meta ultima, la meta che dona la felicità nell’incontro con Dio. A quel’ “Amor che muove il sole e le altre stelle”, si legge nei versi del Cantico del Paradiso, che poi sono gli stessi versi con cui Papa Francesco conclude la sua bellissima Lettera Apostolica: “Candor Lucis Aeternae”.