In parrocchia si può pregare? Più nello specifico: la parrocchia è un contesto adatto alla dimensione della preghiera, del raccoglimento, della coltivazione della vita spirituale?
La domanda, come sa bene chi in parrocchia ci vive e ci presta servizio, non è affatto provocatoria o ridondante, perché nella paradossalità dei nostri tempi le parrocchie, almeno quelle di città come la mia, non hanno smesso di essere molto ricercate, sebbene per le finalità più disparate: dalla ricerca di spazi (sale, aule, auditorium, ecc.) per svolgere le attività ricreative più varie, a quella di un tipo di aggregazione leggermente più tutelata che altrove, per passare al bisogno di esprimere se stessi e il proprio bisogno di senso attraverso varie forme di servizio e collaborazione, fino alla classica richiesta di cerimonie, celebrazioni, lasciapassare canonici vari, nonché, per i più credenti, di servizi religiosi espressi (confessioni, benedizioni, messe di suffragio, ecc.).
Ne emerge l’immagine di una parrocchia che è ancora al centro delle attenzioni della gente del quartiere in cui sorge, sebbene solo occasionalmente queste attenzioni siano riferite direttamente alla finalità per cui la parrocchia c’è, ovvero per raccogliere in unità la comunità cristiana locale, nutrendone la fede e la carità, e per evangelizzare quelli che ancora non ne fanno parte.
Nelle parrocchie più vivaci si “fa” molto, in quelle meno vivaci si “fa” poco, ma il rischio è che sempre e solo di “fare” si tratti, con i poveri parroci trafelati che corrono qua e là ad aprire stanze, firmare certificati, discutere con candidati padrini impresentabili, scapicollarsi a dire la messa d’orario, celebrare funerali, spegnere le luci lasciate accese dai gruppi, ecc. ecc.
Messe, salsicciate e cineforum appiattiti tutti nell’unico grande insieme delle “attività della parrocchia”, che di solito vedono coinvolte le stesse persone in tutte le versioni, a partire dai parroci trafelati di cui sopra fino alle beghine ubique.
Se a tutto questo, che è il tran tran ordinario della classica parrocchia, aggiungiamo il serpeggiante equivoco per cui “preghiera” significherebbe nient’altro che “celebrazioni liturgiche”, possiamo confermare che la domanda con cui abbiamo iniziato sia molto interessante, e che dovrebbe interpellarci senza trovarci reattivamente pronti a levare gli scudi del nostro amor proprio o degli stereotipi banali che tanti, troppi, di noi cattolici hanno nella testa.
In parrocchia si prega?
Perché, certo, la liturgia è preghiera - anzi, è la preghiera per eccellenza. Ma se in una comunità, e nella casa di quella comunità che è la parrocchia, manca la possibilità di coltivare e approfondire la dimensione interiore e personale della preghiera, la liturgia facilmente si riduce a formalismo, a qualcosa che, in ultima analisi, non digerito dalla mia coscienza, ne rimane esterno, e la relazione con Dio rimane rinchiusa dalle pareti della chiesa parrocchiale, senza possibilità di riversarsi nelle cose della vita: abbiamo visto l’effetto disastroso di questo modo di vedere la fede durante la pandemia.
Nelle prossime settimane vogliamo quindi esplorare questa domanda, anzi farci esplorare da essa, chiedendo al Signore di illuminare i nostri timori e le nostre speranze, così da farci ricontattare la nostra sete di preghiera.