0
0
0
s2sdefault

La griglia teologica per capire il valore della veglia pasquale è di carattere biblico. Il Messale Romano afferma che per antichissima tradizione questa è la “veglia in onore del Signore” (Es 12,42).

 

 

I fedeli, infatti, portando in mano, secondo l’ammonizione del Vangelo (Lc 12,35), la lampada accesa, assomigliano a coloro che attendono il Signore al suo ritorno, in modo che quando egli verrà li trovi ancora vigilanti e li faccia sedere alla sua mensa. La veglia pasquale ci riporta a quella notte nella quale gli ebrei attesero di notte il passaggio del Signore che li liberasse dalla schiavitù del faraone, da essi celebrata come memoriale da celebrarsi ogni anno, quale figura della futura vera pasqua di Cristo, cioè della notte della vera liberazione, in cui “Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro” (Exultet).

La veglia, dunque, per essere vera, deve svolgersi di notte, ovvero deve cominciare dopo l’inizio della notte o terminare prima dell’alba della domenica. Anzitutto essa è strutturata in quattro momenti:

  1. Solenne inizio della Veglia o “Lucernario”;
  2. Liturgia della Parola;
  3. Liturgia Battesimale;
  4. Liturgia eucaristica. Per cogliere il senso della veglia pasquale, ci soffermiamo solo su alcuni momenti del suo svolgimento.

 

La luce

La veglia ha inizio con il rito del “Lucernario”, ovvero con la preparazione e benedizione del fuoco al quale si accende il cero pasquale. Non conosciamo la data precisa in cui il cero è entrato nella liturgia. Già alla fine del IV secolo Ambrogio, Agostino e Girolamo ne parlano. Ciò che è certo è che il cero affonda le sue radici nel rito ebraico del lucernario, cioè dell’accensione rituale e solenne delle lucerne in ogni casa al tramonto del sole del venerdì per iniziare la festa del sabato. La liturgia della Chiesa è fatta di segni che rimandano alle realtà vere che sono celebrate. Da piccoli ci hanno insegnato che il cero è simbolo di Cristo risorto, perché come il cero nell’atto di consumarsi dona la luce, così Cristo con la sua morte ci ha donato la vita. Non sfugge nell’ambito delle nostre liturgie la cattiva e deviante prassi di avere un cero pasquale fatto di materiale plastico che non si consuma mai! Dovremmo ricordarcelo continuamente che la verità dei segni deve prevalere sulla semplicità e materiale esecuzione di un rito. Il cero deve evocare il significato pasquale di morte e risurrezione. La benedizione del fuoco al quale si accende il cero porta in sé il significato pasquale del passaggio dalle tenebre alla luce, dal caos al cosmos, dal peccato alla grazia. Durante la processione con il cero nell’aula della chiesa, i fedeli accendono le loro candele accese al cero pasquale. Tale gesto è simbolo della vita nuova, che il Signore ci comunica mediante lo Spirito Santo nella sua risurrezione. Perciò accendendo la propria candela alla luce pasquale, i fedeli devono prendere coscienza di avere in mano la “pasqua”, di essere i destinatari privilegiati della salvezza operata dal Risorto, di impegnarsi a conformare la propria vita a quella di Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per gli altri. Al termine della processione viene cantato l’Exultet, ovvero un’antica composizione lirica la cui struttura risale al IV secolo, che proclama solennemente il mistero della gioia pasquale. Esso è una eucharistia, un inno di ringraziamento per tutta la storia della salvezza, che inizia da Adamo fino all’ultima venuta del Signore, che trova nella risurrezione del Signore il suo vertice e il suo compimento.

 

La Parola

La veglia pasquale ha il suo momento più lungo nella Liturgia della Parola, durante la quale sono proclamate sette letture dell’Antico Testamento e due del Nuovo Testamento. È una Liturgia della Parola molto sviluppata, intesa non solo ad occupare la notte in attesa della Risurrezione, ma anche a mostrare come tutta la storia sacra dell’Antico Testamento è una preparazione del mistero di questa notte e dell’evento salvifico in essa compiutosi. Le letture ci introducono nel significato e nella portata che ha la Pasqua nella vita della Chiesa e di ogni cristiano. Si percorrono le grandi tappe della storia della salvezza, fino a giungere all’evento fondamentale della risurrezione. Dopo ogni lettura segue il Salmo responsoriale. La preghiera del sacerdote ad ogni lettura ha il compito di attualizzare la parola proclamata nella vita della Chiesa. Un altro elemento che va sottolineato è il canto pasquale dell’Alleluia. La Chiesa non lo ha cantato per quaranta giorni e la liturgia solennizza questo momento facendo cantare al sacerdote per tre volte il canto pasquale alzando ogni volta il tono (così come il venerdì santo per l’Ecce lignum e nella veglia per il Lumen Cristi).

 

L’acqua battesimale

Segue la liturgia battesimale, dal momento che la veglia pasquale è il momento privilegiato per la celebrazione del Battesimo. La Quaresima, infatti, come preparazione alla Pasqua, si è strutturata in funzione della preparazione dei catecumeni al Battesimo nella veglia pasquale. Se non si tiene presente questo aspetto si rischia di perdere il valore della veglia: infatti, anche quando non ci sono battesimi, la veglia intende portare comunque ogni cristiano alla radice della propria fede, con la rinnovazione delle promesse battesimali.

 

L’eucaristia

Ultimo momento della struttura della veglia pasquale è la liturgia eucaristica. Essa è il culmine di tutta la Veglia, per cui non ci si dovrebbe affrettare per concluderla quanto prima, ma al contrario conviene che tutti i riti e tutte le parole raggiungano la massima forza di espressione. Se in ogni messa noi celebriamo la Pasqua del Signore, quanto più in questa veglia! La Chiesa innalza a Dio nella veglia pasquale la preghiera eucaristica con tutta l’esplosione della riconoscenza e della gioia: «soprattutto esaltarti in questa notte nella quale Cristo, nostra Pasqua, si è immolato». È la festa delle feste, la solennità delle solennità. La partecipazione al mistero salvifico si realizza perfettamente nella partecipazione alla comunione, in cui mangiamo l’Agnello immolato, quello vero, quello nuovo, quello che ha inaugurato la pasqua della nuova ed eterna alleanza. La veglia pasquale si conclude con il solenne congedo. È in questo momento che il triduo pasquale si chiude: dopo tre giorni di permanente convocazione, l’assemblea liturgica riceve il solenne congedo con il duplice Alleluia pasquale.

 

Per non concludere

Al termine di questa piccola sintesi sul triduo pasquale, mi preme sottolineare la parzialità analitica della riflessione che ho voluto proporre proprio alle soglie della celebrazione del triduo sacro. La Pasqua non è solamente mistero che può essere chiarito dal di fuori o concetto che può essere racchiuso negli angusti spazi dell’intelligenza umana, ma è vita che ha bisogno di una continua e permanente rigenerazione e rianimazione. Il mistero pasquale possiede una ricchezza interiore che può penetrare solo lo sguardo della fede. È vero che anche nel frammento si trova e si vede il tutto, così come in un pezzo di specchio si può scorgere l’intera immagine di un cielo. Quando si parla della Pasqua, però, ci si accorge che è difficile fare sintesi, penetrare nelle sue profondità spirituali nascoste, esplorarne le ramificazioni teologiche, scandagliarne le diramazioni bibliche. Il mistero va oltre il nostro sguardo, così come lo ha inteso bene S. Efrem quando avverte: «Non avere l’impudenza di voler prendere in un solo colpo ciò che non può essere prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po’ alla volta» (Commento sul Diatesseron, I, 19). A ciascuno di noi, dunque, il compito di proseguire nella scoperta delle immense ricchezze che la liturgia propone per ritus et preces, perché nella nostra vita risuoni energico il canto dell’Alleluia pasquale che Cristo ha intonato per noi con la sua passione, con la sua morte e con la sua risurrezione.

 

Forum Famiglie Puglia