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Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia nella messa per il trentanovesimo anniversario dell’ordinazione episcopale, di don Tonino Bello che il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca ha tenuto nella chiesa madre di Tricase lo scorso 30 ottobre 2021.

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

dovremmo commemorare le ricorrenze della vita e del ministero pastorale del servo di Dio, don Tonino Bello, non come avvenimenti ripetitivi, ma come una continua e sorprendente riscoperta di quanto concerne la sua persona e il suo lascito spirituale.

La duplice finalità

Dovremmo cioè riapprofondire la sua testimonianza e il suo messaggio con una duplice finalità: in primo luogo, mantenere la stretta unità tra rinsaldare la memoria, comprendere il messaggio, imitare l‘esempio. La santità di don Tonino assomiglia a un’inesauribile miniera da cui possiamo attingere gemme preziose e scoprire filoni d’oro nascosti nei suoi sotterranei, non per custodirli gelosamente e conservarli nei nostri cassetti personali e nemmeno per compiacerci di possederli, ma sempre per donarli ad altri come ricchezza che non ci appartiene e che è patrimonio di tutti.

La seconda finalità ci chiede di evitare accuratamente di inserire il messaggio di don Tonino in qualsiasi genere di dicotomia tra etica personale ed etica sociale, testimonianza pubblica e impegno nella vita privata, fondamento teologico e dedizione pratica, riflessione intellettuale e azione concreta, approfondimento razionale ed espressione emotiva, teoria e prassi. Occorre, invece, porre attenzione alle relazioni interpersonali senza trascurare la cura della propria persona, ascoltare la voce di Dio e accogliere il grido dell’uomo, contemplare il mistero assoluto e ineffabile nel silenzio e nella solitudine e predicarlo in pubblico con parresia, denunciare le storture e annunciare la parola che salva. Dovremmo, insomma, fremere della sua stessa passione, e seguire la sua stessa strada sintetizzata nello slogan coniato da egli stesso: pati divina e pati humana.

La santità di don Tonino, infatti, non è né cieca, né strabica, ma guarda con due occhi, ascolta con due orecchie, cammina con due gambe e agisce con due mani e custodisce tutto nell’unico cuore, per meditare e fare sintesi di ogni cosa e donare sapore di umanità e di divinità a tutti coloro che incontriamo lungo la via. Per usare un’espressione biblica, dobbiamo seguire le orme di Gesù, mettere i nostri piedi sulle tracce e le impronte che egli ha lasciato lungo la via. Seguendo il suo tracciato, incontreremo l’uomo, nostro fratello e immagine viva del Dio vivente.

La speranza, la “piccola bambina”

Ciò che più occorre all’uomo del nostro tempo è l’annuncio della speranza. C’è un offuscamento e un deficit di speranza anche perché, come sentenziava Bacone, oggi molti pensano che «la speranza sia un’ottima colazione, ma una pessima cena»[1]. Solo Cristo è l’unica speranza del mondo, quella che può colmare e calmare tutte le delusioni e i fallimenti della storia. Le speranze degli uomini, divenute oggi quasi fuochi fatui, «si ricostruiscono attorno alla Parola di Dio»[2]. In questa prospettiva, si potrebbe applicare a don Tonino la frase che egli stesso riferisce a mons. Oscar Romero: «Non c’è nessuna parola così frequente nel vocabolario di Romero come la parola speranza»[3]. Esaminando attentamente gli scritti del servo di Dio, appare evidente che la parola speranza sopravanza di gran lunga le altre due virtù teologali. La speranza, infatti è il «frutto carnoso della santità»[4].

Don Tonino aveva compreso che quando un uomo perde la speranza, perde tutto: anche la fede e perfino l’amore. D’altra parte, non gli sfuggiva la consapevolezza che l’attesa del compimento è un desiderio che non possiamo strapparci di dosso, è intrinseco alla nostra stessa natura umana. È necessario, però, che il nostro sperare sia ragionevolmente fondato. La ragionevolezza della speranza trova il suo solido fondamento nell’essere inchiodata alla croce e nascosta nella tomba di Cristo. Da questi luoghi, trae alimento la vita e risorge un nuovo mondo dall’oscurità delle tenebre. «La Pasqua di Cristo è la Pasqua della speranza»[5],«l’unica speranza che non delude»[6]. Essa si ottiene «a caro prezzo»[7], ma è fonte di gioia e «di pace»[8]. Per risolvere i problemi della gente, occorre «additare le coordinate della croce e della speranza»[9]; la croce, infatti, «fa schizzare dal cuore tuo fiotti di speranza»[10].

Per don Tonino, la speranza è come la “piccola bambina” di Charles Peguy[11]. L’attesa, scrive il servo di Dio, «è come una bambola russa: ad aprirla, cioè, ne trovi un’altra: vigilanza. Se apri anche questa, ci trovi dentro speranza»[12]. Di solito, si pensa, che sono gli adulti ad avere il compito di comunicare ai più piccoli un motivo per sperare. In realtà, sono i bambini, per loro natura, a sperare.  Hanno una predisposizione a fidarsi e ad andare dietro alla bellezza. I bambini, questi nuovi venuti, annunciano il nuovo che avanza; e lo fanno non con parole, ma con la loro stessa presenza. Sono loro la novità e il futuro che prende forma e si fa carne additando il fascino straordinario di un orizzonte che si rende presente; il sogno di un mondo migliore e più fraterno che non ha il volto oscuro e appassito dell’adulto, ma il volto sorridente del bambino.

La speranza-bambina per Peguy/don Tonino «va ancora a scuola / e cammina / persa nelle gonne delle sue sorelle». Molto più importante di loro «è lei, quella piccina, che trascina tutto / perché la fede non vede che quello che è / lei vede quello che sarà / la carità ama quello che è / e lei ama quello che sarà / Dio ci ha fatto speranza». Di fronte a tutte le brutture del mondo, la speranza bambina, che va ancora a scuola, vede «quello che sarà» e ama in anticipo «quello che verrà».  

Parafrasando alcune parabole evangeliche, potremmo dire che vita è come essere invitati a un pranzo nuziale durante il quale una piccola bambina, che si muove in continuazione, fa trambusto, canta, ride, gioca e pronuncia parole semplici che attirano l’attenzione di tutti gli invitati. È solo una bambina, ma mostra di possedere una sapienza antica che non ha perso il suo valore con il passare dei secoli. Nella sua ingenuità, quella bambina manifesta di essere perfettamente consapevole del bene che sostiene la creazione e fa progredire la storia: è la sapienza divina, quella che era fin dall’inizio presso il trono del creatore, mentre questi dava vita ad ogni cosa, traendo il loro essere dalla profondità del suo amore.

Pur non allontanandosi mai dalla sua reggia celeste, la sapienza divina, divenuta piccola bambina, è inviata da lui a spalancare l’orizzonte ultimo che ancora non si vede, ma si intravede in lontananza. È il miracolo di chi ha occhi che penetrano in profondità e guardano in prospettiva. Non solo gli occhi della fede e dell’amore, ma soprattutto gli occhi della speranza. Sono proprio questi occhi a vedere quello che altri non riescono a scorgere, gli unici ad essere capaci di indicare quello che sembra solo un piccolissimo punto all’orizzonte, ma che, avanzando, mostra di essere un miracolo di grazia.

 

Il vocabolario della speranza

In don Tonino, la “piccola bambina” ha molti nomi e molte sfaccettature. Questo piega il motivo del suo ricco e variegato vocabolario. La speranza è evocata con sostantivi, aggettivi e verbi. I sostantivi indicano le sue molteplici sfumature con le quali si presenta nella realtà, gli aggettivi richiamano le numerose qualità con cui essa appare agli occhi degli uomini, i verbi suggeriscono le differenti modalità con le quali bisogna compiere le azioni. Volendo portare un esempio, potremmo dire che i sostantivi sono come i fiori, gli aggettivi rappresentano i loro colori e i verbi indicano l’arte di chi sa accostare un fiore a un altro, in modo da realizzare una composizione floreale, bella da vedere e piacevole da donare.

Tra i sostantivi ci sono parole simboliche ed evocative: raggio, semi, sementi, acque, albero, lampade, messe, futuro, eclisse, fontana, chiave, orizzonti, nube, varco, voce, punto vendita, salvagente, rotta, nave, filo rosso, nodo scorsoio; parole assertive e comunicative: annuncio, segno, carica, investimento, traguardo, festa, parole, effetto, carica, deficit, riserva, attesa, vigilia, spazio, stagione, retrospettiva, quota, crescita, feritoie, sigla, senso, cantiere, esecutore, ragione, frutto, testimone, porzione, risorsa, discorso, messaggio; parole emotive e cariche di pathos: fiotto, tormento ed estasi, brivido, spessore, estuario, empito, trasalimenti, fremito, profumo, brandello, collasso, acquedotto, ritmo, rigoglio, soffio, peso.

Tra gli aggettivi, si notano espressioni positive per indicare la sua essenza: incontenibile, ultramondana, voluttuosa, incredibile, inarrivabile, primordiale, piccola, inesauribile, audace grande, nuova, superstite, imperitura, eccezionale, frutto carnoso, maggiore. Non mancano richiami negativi per significare lo stato in cui la speranza si trova nel nostro tempo: sfilacciata, delusa.

I verbi della speranza

Molteplici sono i verbi che si rapportano alla speranza. Questa, infatti, non è un sentimento, ma una forza che sprigiona un radicale cambiamento. Ci sono verbi programmatici e verbi imperativi verbi esortativi e verbi esplosivi, verbi descrittivi e verbi musicali. Non mancano verbi difettivi che indicano atteggiamenti da evitare.

I verbi programmatici

Tra i verbi programmatici quello decisivo è organizzare. Non bisogna limitarsi a sperare, ma bisogna «organizzare la speranza!»[13]. In questo caso, il verbo organizzare non va inteso in senso puramente produttivo e pratico, ma come la gioia di coltivare il sogno «di una Chiesa più audace, che si decida a scendere nelle carceri degli uomini e, organizzando la speranza degli ultimi, smetta di essere la notaia dell’ineluttabile»[14]. Questo movimento di conversione deve avvenire anche «dove non arrivano le telecamere, ma dove grazie a Dio si organizza la speranza»[15].

Don Tonino era fermamente convinto che la speranza è strettamente collegata alle sofferenze dei poveri e che, anzi, sono essi i promotori della speranza. Per questo «la speranza che predichiamo ai poveri, la predichiamo per restituire loro dignità e per incoraggiarli a essere essi stessi autori del proprio destino»[16]. Tutto questo, però, non basta. «Non basta stare con i poveri, perché c’è tantissima gente che sta con i poveri, condivide le loro situazioni, però non ha speranza, la loro speranza si arresta nei parametri degli uomini»[17]. Occorre, invece, coltivare la speranza cristiana perché le speranze umane non si tramutino in illusioni, generando delusione e sconforto. La speranza cristiana aiuta a perseverare e a continuare a credere alla possibilità di un radicale cambiamento anche quando si è di fronte a situazioni particolarmente difficili. Non si tratta, certo, di un’impresa facile e a basso costo. Ma proprio quanto più grandi sono le difficoltà tanto più forte deve essere l’impegno a dare un’organizzazione alla speranza. Bisogna, infatti organizzare la speranza «attorno alle nostre disfatte»[18], proprio dove la speranza «è sfidata ogni giorno dalla violenza»[19]. In questi casi, bisogna «far prevalere la speranza sulla tristezza dei presagi»[20].

In questa prospettiva, il necessario cambiamento personale deve diventare un vero processo di conversione delle comunità cristiane perché esse siano «capaci di liberare la speranza, di saperla organizzare»[21]. Solo una Chiesa carica di speranza è «capace di dare speranza anche al mondo»[22]. Un analogo movimento di conversione, deve avvenire nella società civile. Essa, infatti, è chiamata a promuovere «una nuova progettualità politica che restituisca al Sud il ruolo centrale di protagonista della speranza»[23].

Attorno al verbo “organizzare”, don Tonino richiama altri verbi “programmatici”: innanzitutto invita a lasciarsi contagiare dalla speranza portata da Cristo[24] per imparare a coltivarla in noi[25]. Non sarà possibile nessuna organizzazione della speranza se non si avrà la pazienza di far sedimentare nel cuore tutti i fremiti di bene che vi abitano e che spingono a correre il «rischio di scelte coraggiose coltivate insieme»[26]. Per coltivare occorre seminare[27], anzi «lasciarsi contaminare inguaribilmente dalla speranza della risurrezione»[28].

La liturgia è la fonte che rinnova ogni giorno la speranza e dà un fondamento solido alla vita, fino a che «la conversione dei vincitori e la passione dei vinti non possano trasformare quest’atto celebrativo in un momento di rifondazione della speranza!»[29]. La liturgia è il luogo dove «si alimenta veramente la speranza»[30] dei poveri consentendo loro di «diventare protagonisti della storia»[31]. La domenica è «il giorno della speranza»[32]. Pertanto, «se la città della domenica si pone come obiettivo, la domenica della città diventerà certamente segno e strumento di festa, luogo dove si alimenta la speranza»[33].

I verbi imperativi, esortativi, esplosivi, musicali e difettivi

Sperare vuol dire «vegliare nella notte»[34] e questo vale soprattutto per gli uomini impegnati in politica perché, insieme alla speranza, avranno bisogno di altre due virtù: «la sapienza e la transumanza»[35]. La speranza deve essere predicata[36], annunciata[37] e raccontata[38]. Sarà «il volto di Cristo, protoservo, nostro fratello povero, che ci incoraggerà a testimoniare la speranza in un mondo nuovo che irrompe»[39]. Sarà lui, il nostro Signore e maestro, «a contagiarci della sua speranza»[40].

Se innesteremo in noi la speranza di Cristo[41], la sua forza rinnoverà il mondo[42]. Lasciamo dunque che la sua speranza trabocchi in noi[43]. La sua Pasqua «è il momento della speranza che esplode»[44] e «scatena una grande speranza per noi»[45]. Allora canteremo[46] e coloreremo la speranza e le attese di tutti gli uomini[47]. Per non passare ai verbi difettivi, incurvare[48], accorciare[49] e addirittura perdere la speranza[50], bisogna mantenere salda la speranza.

 

La virtù teologale della speranza

Pertanto, è necessario fondare le speranze umane sulla speranza teologale. La speranza cristiana si innesta sulle «cosiddette “speranze primordiali”»[51], in un certo senso è «la somma delle speranze terrene [pur se] estranea alle speranze del mondo»[52].

Vi è una speciale circolarità tra le tre virtù teologali «perché, se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili, è solo la carità che ci fa essere creduti»[53]. Il centro e la fonte, da cui scaturisce la loro circolarità, è il Calvario. Se, infatti, è giusto dire che il Calvario «non è soltanto la fontana della carità, ma anche la sorgente della speranza», è altrettanto giusto affermare che «non è soltanto la fontana della carità. Non è solo l’acquedotto della speranza, ma è anche la sorgente della fede»[54].

In ultima analisi, la speranza, la piccola bambina, trascina ogni cosa e, insieme alle altre due sorelle maggiori, rinnova l’esistenza dell’uomo e rimette in moto la storia. Accogliendo questo dono, non rimane altro da fare se non ringraziare il Signore, «perché, al cappio della disperazione che stringe la gola, ci fa sostituire il cappio di un asciugamano che stringe i fianchi col nodo scorsoio della speranza»[55].

                                                                              

                                                                               *vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

                                                                              

 

[1] A. Bello, III, p..231.

[2] II, p.117

[3] II, p.161.

[4] III, p. 236.

[5] VI, p. 350.

[6] VI, p.78.

[7] VI, p. 527.

[8] VI, p. 243.

[9] VI, p. 55.

[10] II, p.394.

[11] Cfr. C. Peguy, Il Portico del mistero della seconda virtù, pubblicato il 22 ottobre 1911.

[12] A. Bello, VI, p. 222.

[13] VI, p. 35.

[14] IV, p. 327.

[15] I, p. 115; IV, p. 286

[16] II, p.162.

[17] VI, p. 104; VI, p.111.

[18] III, p. 110.

[19] IV, p. 349.

[20] VI, p. 240.

[21] VI, p. 292.

[22] VI, p. 362.

[23] VI, p. 348.

[24] Cfr. III, p.119.

[25] Organizzare, scrive don Tonino, «per me è un coltivare la speranza», IV, p. 136.

[26] III, p. 280.

[27] Cfr. V, p.229.

[28] II, p. 121.

[29] IV, p. 271.

[30] IV, p. 130.

[31] III, p. 301.

[32] I, .302.

[33] VI, p. 347.

[34] VI, p. 85.

[35] VI, p. 84.

[36] Cfr. II, p.162.

[37] Cfr. IV, p.121.

[38] Cfr. II, p.277.

[39] V, p. 107.

[40] III, p.119.

[41] Cfr. III, p. 232.

[42] Cfr. II, p. 403.

[43] Cfr. VI, p. 20.

[44] VI, p. 74.

[45] VI, p. 359.

[46] Cfr. II, p.98; II, p.160

[47] Cfr. II, p.139.

[48] Cfr. III, p.305.

[49] Cfr. VI, p. 424.

[50] Crr. VI, p. 72.

[51] III, p.232.

[52] III, pp. 232-233.

[53] III, p. 258.

[54] II, pp. 403-404.

[55] II, p. 350.

 

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