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“La Settimana Sociale è il segno di una Chiesa viva, e soprattutto incarnata, che vive la sua fedeltà all’umano in tutti quegli aspetti che ci riguardano tutti, credenti e non credenti: la vita delle persone, delle città e dei paesi, l’aspetto sociale, economico, politico. È il tema dell’impegno cristiano nella storia, che ha radici squisitamente bibliche”.

 

 

 

Così la biblista Rosanna Virgili, che vi ha partecipato, legge la Settimana sociale di Taranto, che qualifica con un aggettivo: “responsabile”. “Un popolo è responsabile perché è responsabile delle persone che ne fanno parte”, spiega: “Il volto delle persone riunite a Taranto è lo specchio di una Chiesa corresponsabile perché lo sente come dovere morale: verso i migranti, verso gli ammalati, verso chi non ce la fa. E lo fa non per la salvezza della propria anima, ma per quello che Papa Francesco nella Fratelli tutti definisce amore sociale e politico, ‘amicizia sociale’. Una Chiesa che fa pochi proclami, ma lavora, ci crede, soffre, spera”.

Nella sua meditazione a Taranto lei ha parlato di “ecologia ecclesiale”: serve lungimiranza per realizzarla?

Credo proprio di sì. Il fatto che la Settimana sociale si sia svolta in un momento di ripresa, o almeno di auspicabile ripresa dopo il Covid, apre gli occhi su una situazione ecclesiale molto impervia: durante la pandemia, infatti, in Italia la frequenza alla messa è diminuita di un terzo, senza contare la situazione in Europa, dove in alcuni Paesi la Chiesa sta scomparendo. E questo è un tema ecologico: non a caso parliamo di ecologia quando vediamo che stiamo andando in rovina. Io credo sia doveroso che la Chiesa faccia una riflessione sulla sua situazione attuale, in Italia e in Europa. La fede è una questione di qualità, non tanto di quantità: ci vogliono interventi “ecologici” sul piano della qualità della proposta, non tanto sui “prodotti” per far tornare la gente in Chiesa. Dobbiamo interrogarci su come tradurre oggi la fede cristiana nella cultura italiana ed europea. Purtroppo, abbiamo abbandonato questa riflessione, e anche la teologia è in affanno: è diventata un virtuosismo, si riflette e si scrive del passato, mentre è difficile intercettare, ad esempio, le scienze contemporanee. Per questo a Taranto ho parlato di “cari-diversità’’, cioè della diversità dei carismi tipica della chiesa paolina. Ritengo sia il primo passo che la Chiesa debba fare per non concentrare tutti i carismi in unico ministero ed evitare così un eccesso di clericalismo. Occorre da una parte riscoprire i laici, dall’altra valorizzarli. Bisogna aprire agli occhi sui nuovi carismi e abbattere i tanti muri che ancora ci sono, come esorta a fare Francesco nella Fratelli tutti quando mette in guardia dall’autoreferenzialità. C’è una ricerca, anche di chi è al di fuori della Chiesa, che va intercettata, altrimenti la fede si riduce a rito.

In che modo l’ispirazione biblica può aiutarci a superare i momenti di crisi?

Io sono ottimista per scelta e per fede. Nella Bibbia le crisi più terribili sono state occasioni di storie meravigliose, di cui sono state protagoniste spesso nascoste le donne, che in molte occasioni hanno salvato gli uomini. Quando arriva il momento di scegliere tra la vita e la morte, le donne nella Bibbia danno un colpo di reni e dimostrano coraggio: sono sempre le donne che salvano il popolo, i maschi esercitano un ruolo di potere. Nel Nuovo Testamento, basti pensare a Maria che si sostituisce al sacerdote Zaccaria: lui non crede, lei sì. Le donne non rivendicano ruoli di potere, ma il loro modo tutto peculiare di credere e di testimoniare la fede. In un mondo alla deriva, togliere alle donne la possibilità di mostrarci come affrontare questo momento di crisi sarebbe un errore grande. È una ricchezza che altrove non si trova, come attesta Papa Francesco quando auspica che le donne siano presenti nei luoghi dove si prendono le decisioni.

 

Uno dei concetti-chiave delle Scritture è “alleanza”: a Taranto se ne sono fatti portavoce soprattutto i giovani. Come imparare dalla Bibbia ad ascoltarli per costruire insieme a loro il futuro?

La teologia biblica, prima di Gesù, è una teologia che si fonda sull’alleanza fatta con i padri, per cui le nuove generazioni dovevano mostrare fedeltà a Dio e ai loro padri. Con Gesù, invece, cambia lo sguardo: nel Nuovo Testamento c’è un passaggio decisivo per cui i padri devono rivolgersi verso i figli, non solo perché a loro appartiene il futuro ma perché riescono a vedere un futuro di cui i padri possono solo individuare i contorni. La fede cristiana è la fede del Dio Figlio, il Dio cristiano è il Dio dei figli.  Il figlio è l’inedito, il Dio che ti sta davanti: i figli vedono meglio di noi il futuro, per questo lo sguardo deve rivolgersi in avanti. Anche l’alleanza dell’Esodo è un’alleanza per i figli, perché tutta la generazione che esce dall’Egitto nuore nel deserto. È un’alleanza fatta per loro, non per conservare quello che abbiamo avuto. Oggi l’alleanza è innanzitutto un’alleanza tra le generazioni: dobbiamo imparare dai nostri figli, perché hanno una lucidità incredibile nel decifrare il presente e prefigurare il futuro. La fede cristiana è la fede dei figli, una fede che dà un taglio netto con l’aspetto conservativo. I figli sono i primi stranieri nelle nostre case, perché portano istanze nuove e parlano un’altra lingua, e questo rompe gli schemi. Per citare Edgar Morin: “Chi non si rigenera degenera”. Nello stesso tempo, i figli di oggi hanno nostalgia dei padri, soprattutto della figura paterna: per questo allearsi con i figli significa prendersene cura, dare loro spazio, libertà, fiducia, abitare la terra promessa accompagnando le nuove generazioni.

 

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