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“Grazie ai poveri che aprono il cuore per darci la loro ricchezza e guarire il nostro cuore ferito. Grazie per questo coraggio”.

 

 

 

Si è concluso con queste parole ieri l’incontro di Papa Francesco con 550 poveri giunti ad Assisi da tutta Europa, in vista della Giornata mondiale dei poveri che si celebra domani 14 novembre. Entrato nella basilica di Santa Maria degli Angeli con il bastone del pellegrino, donatogli da alcuni presenti, Francesco ha ascoltato le testimonianze di giovani famiglie, volontari, ex detenuti, malati e rifugiati. Dopo il discorso, il momento di preghiera.

Assisi non è una città come le altre, l’esordio del Papa: “porta impresso il volto di San Francesco, che - con “fatti di vita che valgono più delle prediche” - ci insegna a “saperci accontentare di quel poco che abbiamo e dividerlo con gli altri. Assisi non è una città come le altre: qui alla Porziuncola, “una delle chiesette che San Francesco pensava di restaurare”, si raccoglieva in silenzio e si metteva in ascolto del Signore. “Anche noi siamo venuti qui per questo: vogliamo chiedere al Signore che ascolti il nostro grido e venga in nostro aiuto”, spiega Francesco: “Non dimentichiamo che la prima emarginazione di cui i poveri soffrono è quella spirituale”. Assisi non è una città come le altre: qui alla Porziuncola, il luogo dove San Francesco ha accolto Santa Chiara, i primi frati, e tanti poveri che venivano da lui, ci insegna l’accoglienza, che “significa aprire la porta, la porta della casa e la porta del cuore, e permettere a chi bussa di entrare. E che possa sentirsi a suo agio, non in soggezione”. “Dove c’è un vero senso di fraternità, lì si vive anche l’esperienza sincera dell’accoglienza”, la tesi del Papa: “Dove invece c’è la paura dell’altro, il disprezzo della sua vita, allora nasce il rifiuto. L’accoglienza genera il senso di comunità; il rifiuto al contrario chiude nel proprio egoismo”. Poi la citazione di Madre Teresa, “che aveva fatto della sua vita un servizio all’accoglienza”:

“Qual è l’accoglienza migliore? Il sorriso”. “Condividere un sorriso con chi è nel bisogno fa bene a tutt’e due, a me e all’altro”, garantisce Francesco: “Il sorriso come espressione di simpatia, di tenerezza”.

Il cuore del discorso ha i toni forti della denuncia: “Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri! Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli”. Per il Papa, invece, “è tempo che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo. È tempo di incontrarsi: se noi uomini e donne non impariamo a incontrarci, andiamo verso una fine molto triste”.

Coraggio e sincerità, le parole a commento delle testimonianze ascoltate: “Ho colto, anzitutto, un grande senso di speranza”, la risonanza del Santo Padre: “La vita non è stata sempre indulgente con voi, anzi, spesso vi ha mostrato un volto crudele. L’emarginazione, la sofferenza della malattia e della solitudine, la mancanza di tanti mezzi necessari non vi ha impedito di guardare con occhi carichi di gratitudine per le piccole cose che vi hanno permesso di resistere”. Cosa vuol dire resistere? “Avere la forza di andare avanti nonostante tutto”, la risposta: “Resistere non è un’azione passiva, al contrario, richiede il coraggio di intraprendere un nuovo cammino sapendo che porterà frutto. Resistere vuol dire trovare dei motivi per non arrendersi davanti alle difficoltà, sapendo che non le viviamo da soli ma insieme, e che solo insieme le possiamo superare. Resistere ad ogni tentazione di lasciar perdere e cadere nella solitudine o nella tristezza”. “Resistere a quella poca o grande ricchezza che possiamo avere”, aggiunge il Papa a braccio citando la testimonianza di Farzana, che ha confessato: “il mio corpo è qui, ma la mia anima è in Afghanistan”. O quella della mamma romena, in sedia a rotelle, preda da undici anni di un dolore che non le dà tregua. Per lei la speranza ha il volto dei suoi figli, “che l’accompagnano e ridanno la tenerezza che hanno ricevuto da lei”.

 

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