Daniele Fanciullo è un giovane di San Pietro Vernotico che per la seconda volta si è cimentato con la realizzazione di un cortometraggio; dal 3 al 5 maggio ha girato “Mille… e una vita” tra Lecce e Squinzano. ora Associak ha deciso di presentarlo ai vari festival. Abbiamo incontrato Daniele dopo aver visto il suo cortometraggio.
Daniele Fanciullo, farmacista, 49 anni, con la passione per il calcio, per la Juve. Ma come nasce questa tua passione per il cinema?
Ho sempre avuto la passione del cinema sin da piccolo, tant’è che prima di iscrivermi a Farmacia volevo iscrivermi al Centro Sperimentale a Roma, ma la mia famiglia non era entusiasta della mia scelta ed io ripiegai per farmacia. Mi è sempre rimasto però questo amore per il cinema e quando 4 anni fa decisi di andare a Roma presso la Vision Accademy per iscrivermi al corso di regia cinematografica, dove ho conseguito un attestato di competenza, mia madre si ricordò di quel mio desiderio lasciato sopire. Al cinema ci sono sempre andato, anche più volte la settimana; possibilmente solo per perdermi nei film, senza essere disturbato. La passione per il cinema, ancora oggi, è tale che se potessi mi dedicherei completamente a questo lavoro. Spero che un giorno quella che ora è solo passione possa diventare qualcosa in più.
Come nasce l’idea di questo corto?
Mi è rimasta impressa nella mente una scena di un po' di anni fa quando ogni mattina sul piazzale Modugno vedevo la stessa persona che faceva sempre le stesse cose, si sedeva sulla stessa panchina, con il solito giornale, si guardava in giro e osservava tutto ciò che accadeva intorno: la mamma che giocava col proprio figlio, un bambino che tirava calci ad un pallone... e in quei momenti mi sono chiesto che cosa stesse pensando quella persona. Così ho immaginato nel mio cortometraggio una persona avanti con l'età, probabilmente un pensionato, che spesso pensa al tema della morte; ho immaginato la solitudine di un uomo solo che ogni giorno ripete sempre le stesse cose: controlla la cassetta della posta, va a vedere se qualcuno gli ha scritto, se si è ricordato di lui, va dal solito giornalaio, acquista lo stesso giornale, si reca nel solito parco, si siede sulla solita panchina e osserva tutto ciò che gli accade intorno; un giorno, però, accade qualcosa di “insolito”: questa è la sinossi del mio cortometraggio.Su quella panchina osserva diverse scene: una mamma che gioca con il bambino, vede passeggiare una coppietta, un ragazzo in bicicletta e in ognuno di questi personaggi lui si rivede, c’è un riaffiorare alla mente di episodi della sua vita che lui ha vissuto e che ricorda. Lo stupore e la paura prendono il sopravvento, immagina che in realtà c'è qualcuno che forse sta “rivivendo la sua vita” e si riconosce in queste persone. Ancor di più quando scopre che tutti i personaggi hanno il suo stesso nome, Francesco, o nella scena finale che non consente allo spettatore di comprendere cosa stesse guardando, cosa vede dietro l'angolo. Questo lo lascio decidere allo spettatore perché, come dice Kubrick: "Io non devo spiegare tutto allo spettatore".
Qual è l’obiettivo che ti sei prefissato con questo tuo corto?
Quando ho presentato il soggetto del corto e la sceneggiatura in Accademia, il mio maestro disse che potrebbe essere anche il soggetto di un film nel quale tutti i personaggi vivono le loro vite che poi si intersecano tra di loro in un finale del genere. Anche lo stesso produttore si è chiesto come mai il film terminasse in questo modo, provando a immaginare che cosa il protagonista vede nell’ultima scena, che noi non scopriremo mai; questa reazione del produttore mi ha fatto capire che in realtà il corto fa parlare di se e per questo ho raggiunto il mio obiettivo: far parlare lo spettatore, fargli immaginare quello che potrebbe essere il finale del corto, un finale aperto che lascia tante possibilità e che consente allo spettatore di confrontarsi con gli altri per capire quale possa essere quello giusto.
A quale genere appartengono i tuoi cortometraggi?
Il mio primo corto realizzato due anni fa, “About an artist”, era drammatico surreale, affrontava il tema drammatico dei migranti visto con gli occhi di una pittrice e di un pagliaccio. Questo corto, invece, è un corto onirico surreale, per questo motivo la sua struttura non è quella classica composta da un inizio ed una fine. Il finale lascia tanti punti interrogativi, fa parlare e discutere di se e lo spettatore può immaginare ciò che vuole.
La musica nel corto ha un ruolo importante: anch’essa capace di spiazzarti e lasciarti senza parole.
Il finale è un omaggio al cinema di Tarantino: la schermata rossa, la scritta e la musica rock sono un omaggio che io ho voluto rendere a Tarantino. La musica ti guida nel seguire l'evolversi del corto fino alla fine, anche nel passaggio ai titoli di coda cambia il genere musicale che ha accompagnato il corto, diventa una musica drammatica che porta a farti fare determinate considerazioni.
Come hai mosso i primi passi?
Tramite Facebook ho contattato Giorgio Giannoccaro (un direttore della fotografia molto importante che ha collaborato con Winspeare e Pippo Mezzapesa) al quale ho presentato questo progetto che gli è piaciuto molto... Però era impegnato a girare dei film; mi presentò dei suoi allievi molto validi con i quali ho condiviso e realizzato questo progetto.
Cosa hai provato quando hai visto per la prima volta il tuo corto?
Una gioia indescrivibile! Quando andavo al cinema pensavo sempre ad una cosa: chissà quando vedrò qualcosa di mio proiettato in una sala, su uno scherma cinematografico. L’anno scorso quando venne proiettato per la prima volta il corto “About an artist” a Villa Cleopazzo a Squinzano, in occasione della rassegna “Serate d’autore 2018” promossa da Apulia Film Commision e Regione Puglia, l'emozione fu fortissima: vedere e leggere il tuo nome sul grande schermo è emozionante. Fu allora che decisi di andare avanti e, mentre giravo “Mille… e una vita”, mi rendevo conto che la qualità del video era differente: c'era una troupe vera composta da 20 persone, e non 3 come nel primo; le persone erano tutte al posto giusto, veniva girato a Lecce e Squinzano con le autorizzazioni necessarie, le strade interessate chiuse al traffico, con attori validi. L'emozione, dunque, è tanta, anche se sai che è un lavoro di gruppo. È il tuo progetto, la tua sceneggiatura, ma il regista, come il direttore d'orchestra, si avvale di tutti, li ascolta, tiene conto dei loro consigli.
Chi è l’attore protagonista?
Il protagonista è Pietro Ciciriello che ha partecipato a “L’uomo nero” di Sergio Rubini e ha girato altri cortometraggi tra i quali “La giraffa senza gamba” di Fausto Romano che anni fa ha vinto il primo premio di MigrArti, una sezione di corti al festival di Venezia, mentre gli altri sono attori di teatro professionisti. Non ti nascondo, però, che se trovassi per strada una persona che incarna il protagonista di un mio lavoro non esiterei un attimo a portarlo a girare con me; del resto molti attori famosi vengono dalla strada e non sempre hanno studiato.
Chi sono i tuoi modelli di riferimento, i tuoi maestri?
Il mio maestro è Michelangelo Antonioni, autore di film come “L'avventura”, “L'eclisse”, “Deserto rosso”, tutti film che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta gli hanno consentito di essere riconosciuto come uno dei più grandi autori a livello mondiale. Mi piace molto la concezione di cinema di Francois Truffaut e della Nouvelle Vague francese che in un certo senso stravolsero le regole del cinema.
Quale traguardo hai raggiunto con “Mille… e una vita”?
Il cortometraggio è un pass per il regista e la sua troupe; per essere visto il cortometraggio ha bisogno di essere portato negli ormai numerosissimi festival specifici. Il mio corto l'ho mandato ad Associak Roma, una casa di distribuzione di cortometraggi molto importante che lo ha apprezzato ed ha deciso per un anno di presentarlo nei vari festival. Questo è il primo step, per noi una grandissima soddisfazione: abbiamo così la possibilità di far vedere il nostro corto e di farci conoscere.
Progetti per il futuro?
Ho in cantiere due progetti, due altri cortometraggi e un documentario con Davide. Il documentario è un genere riscoperto ultimamente dal cinema e i temi da poter affrontare sono tanti; un genere fatto di presa diretta, intervista alle persone, pochi ciack al posto giusto e al momento giusto.