Inizi anni 2000. Un sabato sera qualunque, in centro. Una delle consuete ammucchiate di adolescenti e giovani, dove il contesto di luci fioche lascia indisturbati. Si parla, si beve, si fuma… “Mongoloide, finiscila!”, “Quanto sei down, non ti raccogli proprio”, “Handicappato, lascia stare la mia ragazza!!”, e così via.
Crisi linguistica, sì, certamente, se ne parla negli ultimi decenni: gergo, vocabolario limitato, incapacità di pensiero approfondito - tra i giovani, poi! - oppure appiattimento della padronanza del linguaggio, incapacità di formulare pensieri e dire emozioni appena appena oltre il livello della comunicazione di base, rozza o popolare che sia.
Ma anche qualcos’altro, perché il linguaggio non è semplicemente lo strumento che ci permette di interagire; il linguaggio rappresenta ciò che siamo, fa parte di quegli elementi che fondano e danno corpo ad una comunità. Il linguaggio è un vettore fondamentale per riconoscere, comprendere e apprezzare le specificità di ogni persona.
La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006, ratificata dallo Stato Italiano e attuata con la Legge n.18 del 3 marzo 2009, pone l’accento sul fatto che la diversità è parte della condizione umana, che ognuno - prima di tutto - è un essere umano e non si caratterizza per la sua disabilità, qualunque essa sia. Discende da ciò che la persona deve essere posta sempre al centro, che è necessario tener conto dei suoi desideri, delle sue aspettative e preferenze, dei suoi progetti, garantendo il diritto inalienabile ad avere, come chiunque altro, un percorso di vita della migliore qualità possibile. Da qui la necessità di operare perché i contesti non generino barriere, ma facilitino il percorso di vita, e siano previsti i sostegni - personali, familiari e sociali - più adeguati perché ogni persona con disabilità abbia pari opportunità rispetto agli altri cittadini.
Se questa consapevolezza è datata 2006, è ancora in corso il lavoro perché si traduca in modo concreto nella vita delle città. Tanti si sono messi all’opera, fra questi anche la Fondazione Div.ergo-Onlus che, dall’8 dicembre 2009, con la nascita del Laboratorio creativo a Lecce, opera per l’utilizzo di un linguaggio - fatto di parole e di azioni - attento a comunicare il rispetto dei diritti di tutti.
Vari passi sono stati fatti. Oggi quanti entrano in Laboratorio o fanno, anche dall’estero, un ordine on line per acquistare un portaombrelli dipinto a mano, un quaderno o una collana, un presepe, un mosaico, una lampada o una bag non considerano questi prodotti “lavoretti”, ma opere artigianali di pregio; quanti sono quotidianamente presenti in Laboratorio, intenti a lavorare, non sono ragazzi che passano un po’ di tempo insieme, ma Artisti con contratto part-time.
Alcuni clienti che entrano in Laboratorio sembrano a disagio: non si aspettano di trovare persone con disabilità intellettiva intraprendenti, consapevoli di se stesse e del proprio lavoro con cui interagire. In genere è grazie agli Artisti che viene superato l’impasse e allora il disagio lascia spazio alla sorpresa, al dialogo e alla simpatia.
Nell’attività quotidiana lunga quindici anni, il Laboratorio ha contribuito a trasformare un pezzettino di mondo, quello di ciascuno degli Artisti, delle loro famiglie e della città.
Avere lo spazio per esprimere il proprio punto di vista e i supporti necessari per farlo; partecipare attivamente di un contesto lavorativo, collaborando con altri; accedere, grazie a tutti gli accomodamenti ragionevoli necessari, alla cultura - attraverso lo studio realizzato in gruppo, i viaggi nei musei d’Europa, la lettura insieme di romanzi e poesie, l’ascolto di opere liriche e musica di tutti i generi - e all’informazione locale, nazionale e internazionale è vita quotidiana del Laboratorio. Grazie a tutto questo, l’autodeterminazione, la libertà di compiere scelte e prendere decisioni sulla base delle proprie preferenze e dei propri interessi è stato uno dei frutti più belli che in questi quindici anni è maturato nella vita degli Artisti.