In passato, prima di cominciare ad impastare, chi disponeva di farina di grano o di orzo, proveniente dal mulino la cerneva per separarla dalla crusca, lu ruèssu, il grosso, utilizzando lu farnàru, il setaccio.
Per rendere ancora più sottile la farina adoperava un crivello che già nel nome fa pensare ad un panno di seta, lu sitazzu da cui scendeva una farina che era ideale per preparare la pasta casereccia e i dolci.
Predisposta sulla spianatoia (ma anche sulla matthrabanca), la quantità ritenuta necessaria di farina, la massaia vi pratica un buco al centro, facendo assumere al mucchietto, la forma di un vulcano. Nell’immaginario cratere versa acqua a temperatura ambiente, un pizzico di sale fino e comincia ad amalgamare con una mano, aggiungendo eventualmente altra acqua. Utilizzando le due mani si predispone a scanare, manipolare, lungamente e sempre più vigorosamente, aiutandosi con la base delle palme di esse, per rendere l’impasto colloso ed elastico.
- Barletta, Ricchitelle, minchiarieddhri e sagne ‘ncannulate, Ed. Grifo, Lecce 2011