Per settecentotrenta giorni la stupenda facciata della basilica di Santa Croce è stata nascosta da un grande velo che ne riproduceva le fattezze ed affidata alle cure di Valentino Nicolì e dei suoi collaboratori.
Può sembrare un’infinità ma, a dire il vero, si è trattato, in termini di tempo, del minimo indispensabile per poter compiere un’opera di recupero artistico tanto impegnativa e complessa. Il barocco, si sa, già di per sé mette a dura prova. Figurarsi il restauro di quella vera e propria selva barocca che si affianca a Palazzo dei Celestini, frutto del genio di grandi maestri come Gabriele Riccardi, Francesco Antonio Zimbalo (1567-1631), Cesare Penna (1607-1653) e lo Zingarello (1620-1710).
Come scriveva il gesuita Padre Giuseppe Germier: «A Lecce, il barocco ha una vita tutta particolare, piena di fasti e meraviglie. E non si deve essere eccessivamente severi nel giudicare quest’arte. C’è dell’intemperanza, del capriccio, magari talvolta anche delirio. Gli archi si deprimono e si spezzano, le colonne si moltiplicano e si sovrappongono. Festoni, rosoni, cartocci, ingombrano ovunque, i pilastri spesso non reggono nulla. La linea retta scompare o è nascosta da cento curve. Si contorcono non solo i fusti delle colonne ma gli stessi capitelli. Le nicchie vuote diventano ornamento preferito degli interni e delle facciate. In poche parole, ogni regola d’arte è infranta perché non esiste codice per il barocco».
Ieri sera, con l’accompagnamento musicale di Raffaele e Carla Casarano, artisti che si sono esibiti in un brano inedito composto per l’occasione, la basilica di Santa Croce è stata finalmente disvelata. L’attesissima cerimonia ha visto la presenza dell’arcivescovo Michele Seccia che, durante il suo ministero, ha sempre dimostrato una profonda attenzione ai beni artistici della città. Un patrimonio enorme ed unico al mondo che tuttavia, com’è ormai noto, non gode affatto di buona salute. Proprio in tale ottica, il restauro della facciata simbolo della storia leccese è davvero un segno di speranza. «L’operazione - ha sottolineato nei giorni scorsi la soprintende Maria Piccarreta - è stata un capolavoro di sinergia tra quattro soggetti: la Regione come ente finanziatore, la Soprintendenza, che ha redatto il progetto e diretto i lavori, l’Arcidiocesi, proprietaria della basilica e la ditta Nicolì che ha eseguito e portato a compimento i restauri».
Ora restano le incastellature, che saranno rimosse nell’arco di un mese, e poi il luogo che custodisce un frammento ritenuto della croce di Cristo inizierà una nuova fase della sua plurisecolare esistenza.
Report fotografico di Arturo Caprioli