Il nome di Santa Lucia, martire di Siracusa che subì il martirio nel 304, geograficamente è molto diffuso dopo quello di San Pietro, ed è dato a paesi e contrade, castelli e ponti, santuari, tabernacoli e cappelle, nel solco della protettrice degli occhi e della vista.
Nel mondo contadino santa Lucia è legata ad un detto che si trova nei diversi dialetti e che nel Salento è: te santa Lucia llunghisce la tia quant’al’ecchiu te l’addhrina mia, di santa Lucia il giorno si allunga quanto l’occhio della gallina mia; de Santa Lucia, quantu l’anca la pulla stindìa, di santa Lucia, il giorno aumenta di quanto la gallina distende la sua zampa, ossia di qualche minuto; in riferimento all’imminente Natale: de Santa Lucia a Natale, quantu ‘ncòfini e faci pane, di santa Lucia a Natale, appena il tempo di fare a casa il bucato e il pane, significava che il tempo è brevissimo.
È l’agognato ritorno alla luce invocata, più di tutti, dal contadino che da essa traeva benefici perché si riflettevano sulle coltivazioni, ritenute il principale sostentamento, nel proprio animo aumentava la fiducia, rinasceva la speranza che la buona stagione non avrebbe tardato a venire. Con l’imminente solstizio d’inverno il giorno comincia ad allungarsi ed era tale il desiderio di vederlo crescere che si osservava minuziosamente l’evoluzione.
A Lecce, fino al secolo scorso ossia prima dell’abbattimento della chiesetta a Lei dedicata, si svolgeva un’affollatissima fiera. Anzi, anticamente, di chiese e cappelle dedicatele ve n’erano due, ma quella più frequentata era quella i cui ruderi si trovano attualmente tra via Orsini del Balzo e via san Lazzaro. Presso la porta d’ingresso di questa chiesetta sotterranea, il 13 dicembre, un sacerdote con un pennellino (più anticamente con una penna di gallina), intinto nell’olio della lampada votiva posta innanzi alla statua della santa, ungeva le sopracciglia dei devoti perché fossero preservati dal mal d’occhi. Sul tavolo vi era anche una “guantiera”, vassoio, nella quale i fedeli vi deponevano un obolo. Questa manifestazione ed i commenti delle donnette alla vista di tanto denaro, ispirarono al noto poeta dilettale Enrico Bozzi (1874-1934) una graziosa lirica nella quale è magistralmente espressa quell’innata arguzia popolar con la quale il cittadino leccese condiva abbondantemente il discorso dialettale.
Alla fiera confluivano varie categorie di commercianti che vendevano un poco di tutto, ma prevalentemente miele e pigne, che si usava mettere vicino al presepe e da cui si ottenevano i pinoli che servivano per decorare i dolci tipici natalizi.
Per approfondire: R. Barletta, Quale santo invocare. Feste e riti del calendario popolare salentino, Ed. Grifo, Lecce, 2013.