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La questione oronziana è certo una materia complessa, scivolosa. Per tal motivo va accostata con delicatezza e rispetto, senza la presunzione di possedere risultati definitivi che siano contrari o favorevoli alla discussa storicità del nostro santo.

Del resto, diverse personalità hanno dibattuto su tale argomento. E se voci autorevoli come quelle dei Bollandisti, di Pietro Palumbo, di Francesco Lanzoni e di Raffaele De Simone hanno espresso seri dubbi, giungendo a ritenere infondata la vicenda del martire leccese, altri validi studiosi come Sante De Sanctis, Guglielmo Paladini, Luigi Protopapa o i membri della scuola turese ne hanno invece difeso a spada tratta la figura.

Ovviamente, non si nutre alcuna pretesa di risolvere, su queste colonne, l’enigma oronziano né di svolgere una completa trattazione del tema. Tuttavia ci sia concesso, almeno in questa circostanza, di accennare ad alcuni dati che deporrebbero, in qualche modo, a favore del protovescovo salentino, rimandando ad altra occasione una rassegna di quelli che invece sarebbero contrari.

Un primo elemento significativo è la comparsa, nei racconti agiografici, del personaggio di Paolo. Stando infatti alla tradizione fu l’apostolo delle genti a conferire, nella città di Corinto, l’episcopato ad Oronzo. Secondo Giorgio Otranto la presenza di Paolo rappresenta quasi un unicum nella tradizione cristiana popolare dell’intero Mezzogiorno. In Puglia, in particolar modo, i racconti sul primitivo annuncio del vangelo fanno riferimento sempre e solo a Pietro. Al punto tale che, nelle fonti medievali, pare consolidata l’idea che il pescatore di Betsaida abbia girovagato la regione in lungo e largo. Dunque, se la vicenda oronziana fosse stata costruita del tutto a tavolino, perché non chiamare in causa proprio la figura di Pietro?

Un secondo dato da considerare è la geografia del culto oronziano: un rompicapo incomprensibile. Se infatti, nota Osvaldo Buonaccino d’Addiego, la devozione per il santo in luoghi come Surbo, Monteroni, Campi, Muro, Caprarica, Diso o Botrugno può essere giustificata dalla relativa vicinanza al capoluogo salentino, è però difficile sostenere la medesima ipotesi per quanto riguarda Ostuni e Turi o per le tracce del culto attestate in Daunia, a Manfredonia e Monte Sant’Angelo, o addirittura nella Venezia-Giulia, come a Grado. Probabilmente la fama del santo era un tempo molto più diffusa di quanto oggi non appaia.

Infine c’è da riflettere sulla questione delle reliquie. Il principale fautore del culto oronziano, il pugnace vescovo Pappacoda, nel Supplice Libello indirizzato alla Santa Sede, ammette con sincerità di ignorare dove siano custoditi i sacri resti del martire. Egli certo era consapevole dei problemi che una tale assenza implicava. La mancanza di reliquie rappresentava, del resto, un notevole punto debole per il suo piano di un patronato di Oronzo su Lecce. Trovandosi in una posizione di potere certo il Pappacoda avrebbe anche potuto spacciare delle reliquie false per quelle del santo. Tuttavia ciò non avvenne mai. Questo dato mostra come le gerarchie ecclesiastiche del XVII sec. furono forse più zelanti e scrupolose, in fatto di reliquie, di quanto comunemente si creda. La recente scoperta in Croazia, da parte dello studioso Stefano De Carolis e dell’arciprete turese don Giovanni Amodio, di una reliquia attribuita al martire apre in questo senso un nuovo, intrigante, capitolo.

                                                                                                                                                                              

 

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