Una delle caratteristiche emergenti nell’intensa riproposta del culto di Sant’Oronzo nel 1656, dopo la preservazione della città di Lecce dalla peste, è la trama, anzi la concatenazione di fattiva partecipazione tra potere civile ed autorità ecclesiastica.
L’autorità civica, normalmente espressione del potere gentilizio urbano, mostrava grande interesse nel promuovere eventi e manifestazioni popolari, riguardanti pure aspetti religiosi.
A sua volta, proprio nella diocesi leccese, mons. Luigi Pappacoda, un vescovo molto deciso a riaffermare l’autorità episcopale e l’attuazione del rinnovamento propugnato dal Concilio di Trento sin dal suo ingresso in diocesi avvento nel 1639, dovette affrontare con necessario equilibrio una situazione di delicato rapporto tra istituzione civile ed ecclesiastica.
Avvenne proprio nell’erigere l’altare del nuovo patrono.
Il 6 gennaio 1659 egli pose la prima pietra della nuova cattedrale, destinata a sostituire l’antica, che era in stato molto precario.
Era riuscito a coinvolgere clero e componenti civiche nell’onerosissimo impegno, per cui, pur di portare a termine il grandioso progetto affidato al noto artista Giuseppe Zimbalo, egli stesso offrì enormi somme personali di denaro (“più fiate, profuse del proprio denaro somme esorbitanti” (cfr. Fatalò, cc. 165-169), duecento carri di calce che egli aveva procurato per la temuta epidemia della peste e garantì che, se necessario, avrebbe venduto pure la sua mitria episcopale, pur di portare a termine l’edificio sacro.
Riuscì a coinvolgere il Capitolo ed il clero, che assunsero impegni economici per vent’anni e raccolsero oboli e donazioni; fu pure stabilito un nuovo dazio…
Eppure, mons. Pappacoda fu capace di rinunciare ad una sua prestigiosa e desiderata soddisfazione.
Già prima del forte rilancio del culto a Sant’Oronzo, nella cattedrale c’era una modestissima cappella dedicata al santo, ma l’entusiasmo e l’ardente slancio del clero e del popolo fecero emergere la volontà di erigerne una molto maestosa. Anzi, “nacque nobile e santa gara tra monsignor Luigi Pappacoda, dignissimo vescovo di Lecce per sapere, giudizio e zelo stimatissimo Prelato e il signor Vito Maria Belli qualificatissimo gentiluomo, e padre allora della Patria, chi dovesse erger allora la Cappella al Santo” (Libro rosso della Città di Lecce, pp. 982-987) testimoniò lo stesso “Dottor Teologo Arcidiacono della Cattedrale” Camillo Palma, che “con molte ardenti preghiere” aveva convinto il presule a “far cosa grata alla sua dilettissima città”, consentendo di far edificare al sindaco il nuovo luogo culto a Sant’Oronzo.
E mons. Pappacoda, con acuta capacità di discernimento. si accontentò di innalzare un altare, abbastanza simile, dedicato a San Giusto.