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Come orientare la progettazione del Consiglio pastorale diocesano (Cpd) di Lecce nello spirito del cammino sinodale?

 

 

 

Per avviare questo percorso il Consiglio pastorale si è riunito lunedì scorso nell’ex nuovo seminario di Lecce, alla presenza dell’arcivescovo Michele Seccia, del vicario generale don Gigi Manca e dei referenti diocesani per il cammino sinodale don Damiano Madaro e Giuseppina Capozzi, per approfondire le ragioni della presenza del Consiglio nella diocesi e analizzarne le potenzialità.

Dopo aver messo in evidenza che proprio perché istituito, pur senza necessità giuridica, dall’autorità diocesana non come un ma come l’organo rappresentativo del popolo di Dio (Statuto Cpd pag. 122, sez. II, n. 9608) con lo specifico ruolo di illuminazione dell’autorità ecclesiale, il Cpd è organismo consultivo di aiuto alla diocesi, nella sua opera di discernimento, con proposte frutto di studi e analisi sulla missione e sulle questioni ecclesiali sensibili.

Nell’attingere, su questa linea, ai suoi membri rappresentativi delle diverse condizioni vocazionali, culturali e sociali del territorio, il Consiglio diventa misura della comunione che esiste nella diocesi come espressione peculiare della ecclesiologia del Concilio Vaticano II.

Un’analisi del post-pandemia, sulla base di domande che hanno stimolato l’uditorio, ha messo in evidenza criticità ma soprattutto germogli di nuove prospettive nel cammino di fede.

È stata abbattuta la quotidianità nella preghiera e nella relazione interpersonale trasformando tutto in evento, è stato resettato il sistema precedente che non riesce più a formare ad una fede prima percepita e poi  interiorizzata, è crollata la concezione dell’autoreferenzialità, dal confronto nel dialogo interreligioso, poi,  si è evidenziata la capacità delle altre fedi a crescere nel discernimento comune a differenza della nostra realtà ecclesiale: questo ha fatto maturare al Consiglio valutazioni come quella della necessità di dare ragione della fede, nell’ottica esperienziale, con risposte sul senso della vita a fronte dell’esigenza di spiritualità e fede connaturata in ognuno di noi, quella relativa a nuove modalità di comprensione e sperimentazione di appartenenza ad un’identità cristiana profondamente in crisi, quella di modificare anche negli incontri forma e metodo in quanto diventano essi stessi contenuto del sinodo, inoltre quella sulla necessità di formazione continua codificando un metodo adeguato ai nuovi linguaggi della comunicazione.

La riflessione sulla differenza tra principium e initium di don Gigi Manca, il primo fondato su un’idea, il secondo che esprime la gioia vera dell’incontro, ha poi introdotto le considerazioni finali del Vescovo. “Non parlare ma parlarci”, farci toccare e interpellare intimamente dall’altro perché ci trasformi, riscoprire il gusto della Parola che diventa contagio di grazia: questa è la sinodalità!

La speranza che viene da Dio e la nostra perseveranza devono ri-provocarci.

Ponendoci le domande di sempre ma con le diverse e spesso inaspettate prospettive di conoscenza offerte dalla quotidianità, sapremo superare indifferenza e derisione in un’ottica che supera la relatività del presente per elevarsi al soprannaturale.

 

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