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Ieri è stato il secondo dei tre giorni dedicati alla formazione permanente del clero di Lecce, a cura di don Riccardo Bertocchi, presso l'aula magna dell'Issr di Castromediano.

 

 

Dopo la parola dell'arcivescovo e la preghiera dell'Ora terza, don Riccardo ha proseguito con la relazione odierna dal titolo: "Il ministero e la vita dei presbiteri in una Chiesa convocata in Sinodo", sviluppata in cinque punti.

Ecco alcune riflessioni del relatore: "Occorre dire che il cammino sinodale non può procedere senza un cordiale coinvolgimento dei presbiteri. Dare fiducia a chi ha promosso la convocazione sinodale della Chiesa di Dio. Se non funziona è una cosa seria, è un problema! La sinodalità, dice il Papa, e ciò che Dio vuole dalla chiesa del terzo millennio - continua don Riccardo -. Se il cammino sinodale non va, c’è qualcosa che non va del nostro rapporto con Dio.

Qui è in gioco identità e missione della Chiesa, senza reale coinvolgimento. Ma la chiesa non è fatta solo da ministri ordinati, la Chiesa è rinforzata dal sacramento dell’ordine, senza questo non è chiesa cattolica, non c’è chiesa per ragioni teologiche e pratiche senza vescovo, presbiteri e diaconi, vero è pure che non basta un vescovo a fare la chiesa." Ha proseguito citando alcune parole del rito di ordinazione dei presbiteri: “Ora Signore vieni in aiuto alla nostra debolezza... collabori di cui abbiamo bisogno...” Ha continuato spiegando poi che il vescovo lo fa perché è necessario per lui essere in relazione coi presbiteri. I vescovi hanno nei presbiteri “necessari collaboratori”; in uno schema precedente si scriveva “veri collaboratori”.

Ha consigliato ai presenti di riprendere in mano i testi conciliari PO in particolare, poi LG, CD.

"È importante recuperare i contenuti di PO - ha proseguito -”. "Dopo sessant'anni anni, urge. Assieme ai contenuti è necessario recuperare la struttura di PO." Ha sottolineato il fatto che 'De Vita et ministero sacerdotali... poi diventato Presbyterorum ministerio et vita'. Con decisione consapevole si cambia il titolo: 'Il ministero e la vita dei presbiteri'. Lo sguardo è rivolto in primo luogo alla missione, al motivo per cui esistono nella chiesa i presbiteri, e poi alla vita, non per metterla in secondo piano, ma per metterla in relazione a ciò da cui la vita proviene e ciò a cui è orientata.

Ha continuato don Riccardo dicendo: "Soffermiamoci sulla questione della vita. La vita dei presbiteri alla luce del ministero presbiterale. Essere ed esistere di una persona, di un organismo in generale, di una persona, di un presbitero... la vita è relazione. Papa Francesco, quando ordina i preti ritorna spesso su questo, ritorna sulle relazioni fondamentali che costituiscono la vita del presbitero: relazione col Padre tramite Cristo nello Spirito; relazione col popolo radunato nella trinità, popolo non come idea ma come realtà storica, popolo come categoria mitica (origine e destino comune) popolo come realtà che abita tempo e spazio. Chiesa è la diocesi, la parrocchia, la famiglia, l’insieme dei battezzati. Gli esseri umani sono chiamati a far parte del popolo di Dio. Lo Spirito da a tutti la possibilità di essere associati al mistero di Cristo".

Ha posto l'attenzione su alcuni punti di LG dicendo: "Nell’iter della redazione di LG c’è stata una rivoluzione copernicana, il capitolo sul popolo di Dio premesso a quello sulla gerarchia. Ciò che è di tutti e poi ciò che è di alcuni. C’è stato e c’è il rischio di pensare che il popolo di Dio sia un soggetto e la gerarchia un altro. Nell’immaginario... è quando diciamo “i pastori e il popolo di Dio?”. Dovremmo piuttosto dire “i pastori nel popolo di Dio”. Dovremmo pensarci tutti coinvolti come popolo di Dio, senza differenze. Tutto si concretizza nell’incontro con le persone".

Ha spiegato poi che un teologo francese parlava di istituzioni buone, ovvero qualcosa che ha bisogno del mio apporto ma non dipende direttamente da me. Aver cura dell’istituzione, che possa permettere di incontrare la chiesa non necessariamente incontrando direttamente un parroco, un vescovo, ma una persona, una comunità, un edificio, una realtà ecclesiale.

Ha specificato poi che un vescovo non deve essere solo di fronte al presbiterio ma nel presbiterio. Il vescovo non è solo colui che sta di fronte e amministra. La collegialità è anche la relazione tra il vescovo e i presbiteri e LG parla dei presbiteri come figli e amici del vescovo, PO di fratelli e amici.

Ha citato poi il messaggio di Papa Francesco pronunciato in occasione del 50° di Ministeria Quedam e ha proseguito poi: "Tali ministeri sono battesimali. Occorre assecondare l’azione dello spirito del Signore". Analizzando il n.8 dice: "Noi siamo dati, la vocazione mi riguarda personalmente ma la chiesa è in qualche modo destinataria di me e della mia vocazione. È necessario che presbiteri, vescovi e diaconi, si accolgano nella libertà di essere dati a un popolo".

Ha proseguito: "Meno preti? Valorizziamo l’apporto dei laici. È una affermazione problematica. Se ci fossero più preti i laici non servirebbero? Non si tratta di questo. Un numero sufficiente di preti, non sarebbe la motivazione per anestetizzare il laicato. Un percorso richiesto è quello della corresponsabilità, che è più delle collaborazioni, non solo delegati del parroco".

Ha fatto notare l'importanza delle relazioni con non cattolici, non cristiani, non dovendo andare a cercare evangelici, musulmani... ma sapendo che c’è una realtà, conoscendola, informandosi...

Ha citato poi Ricoeur, il quale dice che ciascuno di noi è altro da sé stesso e ha proseguito con la riflessione: "Questa verità si coglie nel corpo, nella storia, nella famiglia: ricevono luce nel ministero. Viviamo il corpo come sacrificio spirituale a Dio gradito. La cura della salute è un obbligo ministeriale, salute psichica e fisica. Senza compiacersi troppo della propria fragilità: anche questo è un rischio. Paolo parla della debolezza, tesori in vasi di creta. Paolo intende affermare che nella debolezza di manifesta la potenza di Cristo. Sono gli altri che rendono presente la forza di Dio. “Sii forte, sii coraggioso” questo è il coraggio del credente. Il coraggio di chi riconosce che non può far tutto da solo, perché le sue forze sono limitate si ma anche perché la sua missione è affidata a un popolo. Siamo una delle diverse figure collettive che compongono la società. Ci vuole coraggio per accettare di essere necessari non per un pubblico riconoscimento ma per obbedienza alla chiamata di Dio, rappresentanti di un agire salvifico. La Chiesa non produce la salvezza ma è chiamata a testimonianza".

Conclusasi così, la relazione di don Riccardo Bettocchi, vi è stato un momento di break e, a seguire, i cantieri delle quattro foranie della diocesi, durati almeno un'ora, nei quali tutti i sacerdoti, religiosi e diaconi, hanno potuto confrontarsi sulla base delle domande guidare non solo.

Al termine, preghiera dell'Angelus e benedizione dell'arcivescovo.

 

 

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