Nell’ambito della VI Giornata mondiale del povero che si celebra oggi, ieri mattina, presso la Sala del trono dell’episcopio di Lecce, si è tenuto un incontro sul fenomeno della povertà in Puglia e a Lecce.
Sono intervenuti Walter Nanni (Ufficio studi di Caritas italiana), don Alessandro Mayer (delegato regionale Caritas Puglia), don Nicola Macculi (direttore della Caritas diocesana), Serena Quarta (responsabile dell’Osservatorio sulle povertà e le risorse di Lecce) e Simona Abate (coordinatrice della Casa della carità di Lecce). Ha introdotto e moderato l’incontro il giornalista Marcello Favale e ha concluso i lavori l’arcivescovo Michele Seccia.
Dall’incontro è emerso quanto la povertà stia assumendo connotati particolari all’interno di fasce sempre più ampie della popolazione. In Italia, secondo i dati di Caritas Italiana, oltre all’aumento delle persone che si rivolgono a Caritas (+7,7% rispetto al 2020) si registra una tendenza alla cronicità delle situazioni di povertà: un utente su quattro è in carico in Caritas da più di cinque anni. Segno quest’ultimo che la povertà tende a radicarsi nelle vite delle persone generando situazioni di non ritorno. Ad aggravare la situazione subentra la multiproblematicità delle condizioni di povertà in cui vive il 27,2% delle persone censite da Caritas: sono situazioni in cui a gravare sulla vita delle persone non sono solo i problemi economici, ma ci sono problematiche connesse alla salute o alla sfera psicologica e sociale.
Tra gli elementi che occorre sottolineare ci sono: l’aumento delle famiglie con minori, i bassi titoli di studio e i cosiddetti working poor, ovvero coloro che, pur avendo un lavoro, non riescono a garantire standard di vita dignitosi alla propria famiglia.
A Lecce gli elementi che definiscono la povertà delle persone che si rivolgono in Caritas non si discostano molto da quelli emersi a livello nazionale. Sono 811 le famiglie che si rivolgono ai 17 centri d’ascolto che hanno raccolto i dati; se si tiene conto che il numero medio dei componenti di queste famiglie è di tre persone emerge una condizione di povertà che coinvolge almeno 2400 individui (di cui circa 200 sono minori). Il numero è da ritenere sottostimato se si considera che diversi centri d’ascolto non sono riusciti a tenere aggiornati i dati e che nell’indagine non sono stati presi in esame i dati relativi alle mense e all’emporio.
Le caratteristiche delle persone che si rivolgono a Caritas delineano una situazione di apparente normalità: nella maggior parte di casi (70,4%) si tratta di persone di età compresa tra i 35 e i 64 anni, che vivono all’interno di un nucleo con figli e hanno una casa in affitto (78%) o di proprietà (6%). L’ambito lavorativo però presenta situazioni di grave deficit, sia perché il 44,7% di chi si rivolge a Caritas è disoccupato, sia perché ci sono persone che pur avendo il lavoro (11,5%) non riescono a tenere la propria famiglia lontana dal processo di impoverimento.
Un ultimo elemento che vale la pena sottolineare, e che diventa penalizzante nelle situazioni di povertà, è il basso livello di istruzione delle persone che si rivolgono a Caritas: il 10,3% presenta situazioni di analfabetismo e nel 65,8% si arriva ad avere al massimo la licenza media inferiore. Questo rischia di produrre difficoltà nel maturare professionalità da spendere nel mercato lavorativo e finisce per relegare le persone, con bassi titoli di studio, nel circuito dei cosiddetti ‘lavoretti’ che non garantiscono alcuna autosufficienza economica.
Per affrontare queste situazioni Caritas mette in atto prima di tutto l’ascolto delle persone in difficoltà, per poi contribuire ad alleviare le condizioni di povertà con supporti materiali. Ed è proprio sull’importanza dell’ascolto che l’arcivescovo Seccia ha concluso l’incontro: l’ascolto come strumento essenziale che Caritas mette in atto per creare una relazione capace di maturare processi di cambiamento non solo nelle persone che si rivolgono nei centri d’ascolto, ma anche nei tanti volontari Caritas che tutti i giorni svolgono la loro preziosa attività.