"San Francesco di Palermo". Così ho conosciuto e definito Fratel Biagio Conte nel mio indimenticabile servizio episcopale a Palermo.
Così mi è apparso sin dal mio primo incontro con lui in cattedrale il 25 maggio 1996. E tra i primi miei impegni pastorali è stato quello di rendermi conto di quanto Dio operava per mezzo di lui in Via Decollati, trasformando ruderi abbandonati in una dignitosa villetta di accoglienza di quanti distrutti nella loro dignità dall'alcool e dalla droga erano soli e rifiutati dalla società, dei poveri senza cibo e senza casa, dei sempre più numerosi migranti di ogni razza, cultura e religione.
Mi resi conto che Biagio era per la Chiesa di Palermo un segno profetico dato dal Signore per essere più operosa e concreta nel privilegiare e aiutare gli ultimi, i suoi prediletti, con i quali Gesù ha voluto identificarsi ritenendo fatto o non fatto a sé quanto noi abbiamo fatto o non fatto a loro.
Biagio ne era fermissimamente convinto, e con i fatti più che con le parole, sorretto dalla preghiera e dalla penitenza, confidando nell'aiuto del Signore soprattutto nei momenti più difficili, si è donato e consacrato a lui servendolo appassionatamente nei suoi prediletti.
Preferiva dormire in una tenda per assicurare un posto a chi lo chiedeva stando fuori all'aperto. E grande era la sua e la mia gioia quando nelle grandi feste religiose ero a mensa con i suoi prediletti, alcuni dei quali si sono rivelati dei veri geni una volta liberati da distruttive dipendenze.
Ha fatto suo quanto il grande Papa Francesco non si stanca di suggerire come comportarci con gli immigrati: accoglierli, accompagnarli, promuoverli, integrarli.
Gli sono stato vicino quando ha chiesto un altro rudere per farne una dignitosa Casa di accoglienza per donne povere o emigrate, divenute sempre più numerose e servite dalle brave sorelle che, come Santa Chiara con San Francesco, hanno voluto seguire l'esempio di Fratel Biagio.
Gli sono stato vicino in modo particolare quando con un gesto tipico dei profeti più coraggiosi occupò un terreno abbandonato dello Stato: al suo fianco ho dovuto mediare con la magistratura e le alte autorità statali per fargli ottenere metà di quel terreno. E lui, valorizzando le diverse capacità e mansioni dei suoi ospiti, ha trasformato i ruderi della seconda guerra mondiale in abitazioni decorose per centinaia di immigrati.
E per me resta indelebile il ricordo della celebrazione del 50o della mia ordinazione sacerdotale insieme ai vescovi siciliani: sedevamo a mensa insieme a oltre seicento immigrati.
Anche da lontano gli sono stato vicino spiritualmente nelle sue peregrinazioni in tante parti del mondo per annunciare e testimoniare il vangelo della concordia, della giustizia, della misericordia e della pace all'insegna della grande Croce che portava sempre con sé e sulla quale si è immolato nell'ultima malattia, come ho potuto comprendere nell'ultima telefonata fattagli alcuni giorni fa.
Palermo ha perduto certamente in terra un grande profeta e operatore nella Missione di speranza e carità, ma ora ha nel cielo un intercessore con Cristo per una sempre più viva consapevolezza di progredire camminando con i poveri e operando a favore dei poveri.
*Arcivescovo emerito di Palermo
Nelle foto piccole: la cappella della Misericordia Missione Speranza e Carità di Via Archirafi a Palermo. Una stalla trasformata in chiesetta e consacrata dal card. De Giorgi quando era arcivescovo di Palermo.