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«Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie», così Papa  Francesco ha cominciato l’omelia della Messa di chiusura del Sinodo sui giovani, con un mea culpa cioè.

La Chiesa guarda ai giovani, si dice. Ma, difatti, è capace di comunicare con loro, dialogare, di trovare una sintonia che viaggia sulle stesse note?  Mons. Antonio Staglianò risponderebbe: “la mia fede suona il rock o il pop”, si esprime con il linguaggio della musica che fa universalmente vibrare le corde del cuore, senza necessità di traduzioni, parafrasi o adattamenti. Una chitarra e la sua voce, per una predica ‘cantata’, assolutamente originale e coinvolgente. Una Chiesa in uscita che incontra i giovani usando i loro linguaggi, facendosi ‘piccola’ per comunicare l’infinito amore di Dio.

Un’esperienza singolare, inedita: un’evangelizzazione ‘itinerante’ attraverso i testi di canzoni “cantillati”, versi di poesie recitati, tra lo stupore di tutti, soprattutto di loro, i veri protagonisti, dell’incontro, i ragazzi e i tanti giovani lì presenti.

Sguardi stupiti, a tratti increduli, volti serenamente sorridenti, mani pronte per un sentito applauso, è l’atmosfera che ha accompagnato l’ingresso di mons. Antonio Staglianò nella parrocchia “San Massimiliano Kolbe” di Lecce, accompagnato dall’arcivescovo Michele Seccia e dal parroco don Antonio Murrone.

Si rivolge ai ragazzi senza fronzoli, in maniera diretta e chiara: «Rispondo subito con concretezza perché le chiacchiere non mi piacciono molto. Mi piacciono le parole, sì. Da dove nasce tutto questo? Da una sofferenza personale. Sono vescovo da 10 anni a Noto e sono stato sacerdote per 25 anni nella mia diocesi di Crotone in Calabria. Da quando sono diventato prete ho registrato che, all’interno delle nostre chiese e delle nostre parrocchie, a poco a poco i ragazzi e i giovani spariscono. Non ce ne sono più. Oggi sono io che devo ringraziare voi, ragazzi, per quest’opportunità di parlare al vostro cuore, attraversando la vostra intelligenza».

“Mi annoio”  è stata la risposta  comunemente ripetuta dai ragazzi, sin da quando era prete di periferia,  alla domanda: “Perché non vieni in chiesa?”.  Le omelie spesso sono lunghe e noiose, per questo i giovani non ascoltano più. «Per cui ho cercato di trovare qualche mezzo, qualche escamotage come forza attrattiva per i giovani, dal pallone, alla danza alla musica», creando luoghi e momenti di aggregazione e di condivisione.

Un’omelia ‘cantillata’ nella chiesa di Scicli diventa virale, fa il giro del web,  affermandosi come vera e propria strategia comunicativa. «Vestito con la mitra e il pastorale, durante un’omelia, mi è venuta in mente una canzone di Marco Mengoni; “Credo negli esseri umani, che hanno il coraggio di essere umani”: infatti per essere umani e restare umani ci vuole coraggio, bisogna fare delle scelte, delle scelte d’amore!». Nei testi di Mengoni, Noemi, Ligabue, Vasco Rossi, i giovani possono trovare un ‘referente simbolico’ che richiama e riporta a Dio. Annunciare il Vangelo, l’amore, l’essenzialità della vita “mentre il mondo cade a pezzi”, per “ricomporre nuovi spazi” di umanità, per non correre il rischio di “essere un peso per se stessi, un vuoto a perdere”.

C’è un forte bisogno d’amore e di riscoprire l’amore, partendo dalle famiglie, dove si vive la “crisi del cristianesimo domestico”, passando per le diverse agenzie educative, per giungere sino alle parrocchie. A voce alta “Chiamami ancora amore”, dal testo di Roberto Vecchioni, “perché le idee sono come farfalle che non puoi togliergli le ali, perché le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali, perché le idee sono voci di madre che credevano di aver avere perso e sono come il sorriso di Dio in questo sputo di universo”. Un lungo e continuo applauso è il segno che mons. Staglianò è riuscito a sintonizzarsi sulla frequenza  più ascoltata dai giovani.

“Ehi ragazzi, cercate di aprire gli occhi, l’amore è una cosa seria. Quando vi diranno a quindici anni ‘Sei tutta la mia vita’, rispondete con un ma va…”, un’espressione al quale segue il sorriso divertito dei ragazzi presenti. L’amore non è l’amore romantico, lo sturm und drang. Amore vuol dire nego la morte, è l’impegno di dare la vita per l’altro, un legame impegnativo, rivoluzionario quand’è autentico.

Seguendo Gesù e quello che dice Gesù «convertitevi sulla vostra idea di Dio. Togliete la maschera a Dio! Dopo duemila anni di cristianesimo il nostro Dio continua ad essere un mascherato dalla sua onnipotenza, dal suo essere un padre-padrone. Dio è solo amore e - come canta Marco Mengoni – “l’amore ha vinto, vince, vincerà”».

Imbracciata la chitarra ‘suona’ nell’aria un messaggio: l’amore non si apprende sui libri, studiando la letteratura o la filosofia, non si compra (‘soldi, soldi’), non si fabbrica, è un dono ricevuto dall’alto, invocato attraverso la preghiera.

Ad occhi socchiusi canta: “E dovresti sapere che viene dall’alto, la voce che senti dentro di te; è una eco dai cieli, da terre remote che si fa polvere dentro di te; è un suono sublime che spacca il tuo cuore e che tutti chiamano, amore, amore, amore”. I ragazzi, felici, applaudono, colpiti nel segno, colpiti nel loro piccolo grande cuore, capace di riscoprire e di generare amore. 

 

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